L’Italia esclude Israele dai Giochi. E io protesto

Caro Direttore, ti informo: domani io non ci sarò, mi prendo un giorno di ferie e vado a Pescara a manifestare contro l’esclusione di Israele dai Giochi del Mediterraneo. Immagino tu stia rileggendo – incredulo – le prime righe di questa lettera. Hai capito bene: vado a Pescara a manifestare insieme con un gruppo di «amici» conosciuti su Facebook, come me e anche più di me indignati per la decisione del comitato organizzatore della manifestazione che, per non scontentare il mondo arabo, ha deciso di lasciare a casa gli atleti israeliani. Decisione salomonica: anche quelli palestinesi. Nemmeno Ponzio Pilato sarebbe riuscito a fare di meglio per non affrontare il problema: hanno eliminato il problema. Infatti, nella lunga storia di questa mini Olimpiade, i due Stati non hanno mai potuto iscriversi. E ogni volta che ci hanno provato, una serie di voti contrari dei Paesi che s’affacciano sul «mare nostro» e che compongono il comitato organizzatore, gli hanno chiuso la porta in faccia. Così, sempre.
Se è sempre successo - ti chiederai - perché questa manifestazione? Che cosa fa la differenza che ci spinge ad andare fino a Pescara? La risposta è semplicissima: questa volta i Giochi del Mediterraneo li fanno a casa nostra, in Italia. E noi, ospiti, diventiamo automaticamente complici di questa decisione che, oltre a essere ingiusta, è pure razzista. Accettiamo che una discriminazione gravissima venga consumata - con incivile omertà - sul nostro territorio.
Sappiamo che non sarà certo la nostra manifestazione - un migliaio di anime liberali, socialiste, radicali, gente di Forza Italia e del Pdl in generale, che farà un pacifico sit-in davanti alla sede dei Giochi - a far cambiare l’idea al monolitico comitato organizzatore, una specie di soviet che ha l’elasticità di un binario ferroviario, ma riteniamo sia cosa buona e giusta rimarcare quella che per noi è una gravissima manchevolezza.
Il nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha tenuto a precisare, in una nota, l’estraneità del governo e del Parlamento alla decisione del comitato organizzatore che ha e deve avere una propria autonomia. Ma ha ribadito l’assurdità di una decisione che penalizza Israele e Palestina.
Non ci sto, non amo il gioco del cerchio e della botte. Ed è per questo che, con i miei «amici virtuali» sabato sarò a Pescara. La politica, nel senso più alto dell’espressione, ha invece, a mio avviso, il dovere di intervenire proprio in casi come questi. Lo sport deve poter decidere da sé, va bene, ma non quando le sue scelte invadono il campo della politica. Lasciare a casa Israele e Palestina mica è una scelta sportiva, non stiamo parlando di risultati o di qualificazioni. I voti incrociati che nel comitato organizzatore da sempre non permettono la partecipazione di questi due Paesi non sono il frutto di regole sportive. Ma sono la volontà di quei governi che non vogliono inimicarsi il mondo arabo, nemico di Israele e pure della Palestina, che usa come un cane rabbioso contro Tel Aviv. È politica, questa, e cos’altro sennò?
La politica tutto questo avrebbe dovuto prevederlo. L’Italia aveva il potere di scegliere: ospitiamo i Giochi del Mediterraneo se, per la prima volta, possono partecipare anche loro, altrimenti andateli a fare da un’altra parte i vostri giochi, ma non qui.

Noi non possiamo accettare discriminazioni così odiose e vigliacche. Che senso ha definirci amici di Israele per poi tradire quest’amicizia per una brutta copia delle Olimpiadi? Una domanda alla quale la politica ha preferito non rispondere.

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