L’Italia in Libano con la spedizione dei mille

Nuovo avvertimento del Partito di dio: «Non ci faremo disarmare»

Pietro Balducci

da Milano

Controllano il materiale, preparano gli zaini, puliscono le armi in queste ultime ore prima della partenza. I nostri militari stanno ultimando i preparativi per la partenza per il Libano. La nave da sbarco «San Marco», una delle cinque unità navali che parteciperanno alla missione, sta già imbarcando materiale e mezzi logistici nel porto di Marghera. Salperà subito per la Puglia, dove raggiungerà la «San Giorgio» e l’incrociatore portaerei «Giuseppe Garibaldi», già alla rada nel porto di Taranto. Martedì queste tre navi, insieme ad altre due unità - forse la corvetta «Fenice» e la nave da sbarco «San Giusto», ma il governo deciderà solo domani - prenderanno il largo destinazione Tiro o Naqura, i due principali porti nel sud del Libano. A bordo il contingente di circa 1.000 soldati che sbarcherà nel Paese dei cedri. Questo contingente rappresenta solo la forza d’ingresso. A novembre saranno raggiunti da altri circa 2.000 uomini della brigata di cavalleria «Pozzuolo del Friuli» che rappresenterà il nocciolo duro delle unità italiane.
Forza d’ingresso. A partire da martedì saranno il reggimento «San Marco» della Marina e il reggimento Lagunari «Serenissima» dell’Esercito. Entrambe queste unità fanno parte della «forza di proiezione del mare», un nuovo raggruppamento interforze nato soli pochi mesi fa dall’unione delle due unità. Insieme a loro diverse componenti specialistiche - artificieri, Nbc (difesa nucleare, biologica, chimica), Genio, trasmissioni, logistica - che sempre accompagnano i contingenti nella fase di schieramento iniziale. Ci saranno anche nuclei di sommozzatori e team di forze speciali e, probabilmente, un’unità di ricognizione di Cavalleria su blindo Centauro. A capo del Comando forze di altura, responsabile delle unità navali impegnate in Libano, sarà l’ammiraglio di divisione Giuseppe De Giorgi, imbarcato sulla Garibaldi. La Forza anfibia sarà comandata dal contrammiraglio Michele Saponaro. Il ministero della Difesa ha invece nominato il generale Fabrizio Castagnetti responsabile della cellula strategica presso il dipartimento di peace keeping all’Onu a New York.
Stime prudenti. Domani il Consiglio dei ministri varerà il decreto per il finanziamento della missione italiana in Libano. Non appena la Gazzetta ufficiale, martedì mattina, lo pubblicherà, le navi potranno salpare per il Paese mediorientale. Il costo della missione, secondo i dati forniti dal ministero dell’Economia e della Difesa, dovrebbe attestarsi sui 150 milioni di euro fino al 31 dicembre, anche se alcuni analisti militari si sono dichiarati scettici su queste stime, ritenute troppo prudenti.
Missione internazionale. Il contingente italiano, secondo il governo, dovrebbe arrivare «fino a 3.000 uomini». A questi si aggiungeranno 2.000 soldati francesi, 950 spagnoli, 500 polacchi, 400 belgi, 250 finlandesi: in tutto circa 7.000 soldati. Altri Paesi invieranno mezzi a sostegno, ma non truppe: la Germania si è impegnata con una task force navale, più assistenza nel controllo del traffico aereo e navale, la Grecia metterà a disposizione due navi e la Danimarca tre, la Gran Bretagna darà sostegno navale più due aerei Awacs, sei aerei Jaguar e una fregata, mentre Malta darà supporto logistico, vale a dire metterà a disposizione porti e aeroporti. A queste truppe si aggiungeranno anche i contingenti di Paesi extra Ue.
La staffetta. Il comando della missione sarà affidato per il momento alla Francia, che ha già sul campo il generale Alain Pellegrini, mentre dal 4 febbraio dovrebbe subentrare l’Italia. Il segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan ha specificato che non rientrerà nei compiti dei Caschi blu il disarmo delle milizie hezbollah. La missione è infatti di peace keeping e non ha scopi offensivi. Le regole d’ingaggio però prevedono una larga autonomia dei comandanti sul terreno, che potranno decidere di usare la forza «a loro discrezione» per rispondere a eventuali attacchi, «assicurare in pieno l’attuazione della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite» e garantire l’appoggio all’esercito libanese, l’unico incaricato di disarmare le milizie sciite. Il problema è che gli hezbollah hanno dichiarato a più riprese di non avere alcuna intenzione di disarmare, come ribadito anche ieri dal numero due del movimento Naim Kassem. L’intelligence non nasconde la propria preoccupazione per i pericoli legati alla missione.

È vero che i miliziani del Partito di Dio vedono di buon occhio l'arrivo dei soldati italiani, ma se l’esercito libanese dovesse trovarsi in difficoltà nel disarmare i miliziani Hezbollah, i marò e i lagunari dovrebbero aiutarli nel disarmo e questo li renderebbe automaticamente nemici.

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