L’Onu è in ritardo, si rischia un’altra Sarajevo

Fin qui il raìs le ha vinte quasi tutte. Ha schiacciato i nemici. Ha umiliato i leader occidentali, Barack Obama e Nicolas Sarkozy in testa, che lo davano per morto. La risoluzione sulla no fly zone e sulla difesa di Bengasi – esaminata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu la scorsa notte – rischia di lasciar immutata la situazione. Al pari delle minacce d’intervento immediato di Parigi. O di quelle libiche che promettono rappresaglie contro le navi e gli aerei in transito nel Mediterraneo. Dietro le rodomontate tripolitane, accentuate dalla promessa di conquistare Bengasi entro stamattina, si nasconde un piano più politico che militare. Quel piano - come prova la promessa d’amnistia per i militari pentitisi d’esser passati con i ribelli - punta più sul compromesso che non sullo scontro.
Ieri l’aviazione di Muammar Gheddafi ha bussato alle porte di Bengasi sganciando alcune bombe sull’aeroporto della città. Ma quelle incursioni hanno un significato puramente simbolico. Al raìs la capitale dell’insurrezione interessa poco. Gheddafi non ha alcuna intenzione di lanciarsi alla riconquista di una città da un milione e mezzo di anime in larga parte ostile. Meglio tirar dritto fino a Tobruk , meglio correre alla frontiera egiziana, tirar giù la sbarra di confine e discutere di Bengasi a porte chiuse. Quel capoluogo circondato, assediato ed affamato è perfetto per diventare la nuova Sarajevo, la nuova vergogna di una comunità internazionale irrisoluta, pavida e indecisa. Il raìs lo sa e aspetta tutti al varco. Primo fra tutti Barack Obama. Ieri il presidente tira-molla ha compiuto una delle sue abituali piroette puntando su una risoluzione in grado di superare i limiti di una tradizionale no fly zone e trasformarsi in una no drive zone, ovvero in un intervento capace di salvare Bengasi bloccando l’avanzata delle milizie gheddafiane in Cirenaica. Quella richiesta, all’apparenza nobile, nascondeva forse un gioco assai cinico. Alzando l’asticella dell’intervento, alludendo a possibili imminenti bombardamenti dell’esercito del raìs il presidente democratico ha reso ancora più problematico e incerto il voto del Consiglio di Sicurezza. La minaccia di incursioni aeree sulle avanguardie gheddafiane rischiava di spingere Mosca e Pechino verso il veto e rendere ancora più riluttanti Berlino e Roma. Con il risultato di garantire a Obama un’immagine di presidente nobile e coraggioso e scaricare sugli altri la zavorra dell’infamia.
Ma se anche non vi fossero doppi giochi, se anche la risoluzione per la difesa di Bengasi e dei suoi civili entrasse in vigore da stamattina cosa mai cambierebbe? I tempi tecnici per mettere a punto un intervento militare sostenuto da un’alleanza allargata politicamente dalla Nato alla Lega Araba non consentiranno alcun intervento massiccio fino al prossimo aprile. Le sporadiche sortite promesse dalla Francia non impediranno al raìs di trasformare Bengasi in una nuova Sarajevo. Ricordate l’assedio simbolo degli anni Novanta? Quando la comunità internazionale mostrava i denti la Serbia dialogava, quando il pericolo era passato attaccava. Per un raìs ormai libero dalla necessità di nuove riconquiste il compito sarà ancora facile. Il via libera all’apertura di un corridoio umanitario per rifornire Bengasi, un amnistia per la maggior parte dei ribelli armati, un salvacondotto per lasciar fuggire all’estero i nemici più risoluti sono gli strumenti in grado di garantire a Gheddafi il recupero di un minimo di legittimità internazionale e lo storico ruolo di indigesto, ma indispensabile approvvigionatore energetico.

Gli stessi strumenti che, nei calcoli del raìs, risparmieranno alla comunità internazionale la vergogna di assistere inerte ad un assedio e il costoso fastidio di guidare un’avventura militare dagli esiti estremamente incerti.

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