L'amore ai tempi dei Giochi

di Marco Lombardo

No, l'amore non è una medaglia da mettere al petto. È qualcosa di più: la felicità del nostro io, il sentimento di chi ha capito l'essenza della vita, uno stile per continuare ad esistere. E l'amore non è un gioco, ovvio, neanche quando di mezzo ci sono i Giochi. Amare per andare più avanti, amare non solo per arrivare primi, ma per arrivare soltanto là dove ti spinge l'istinto. L'amore insomma ha mille facce e guardando la vostra vi sorprendereste che una condizione dell'anima così forte possa entrare in circolo anche durante le Olimpiadi. Tra poco ci saremo di nuovo, questa volta a Rio de Janeiro, quattro anni dopo ancora una volta, e le storie che si stanno per incrociare in quelle due settimane di vita che ci aspettano sono, saranno, sorprendenti. Inaspettate. Se non ci credete ne potete avere un'anteprima leggendo Giochi d'amore (Absolutely Free editore, 133 pp, 13 euro), splendido ritratto dell'esistenza scritto da Alberto Caprotti, giornalista e amico dalla penna felice e innamorata. Innamorata delle storie appunto, delle persone, di quello che appunto un'Olimpiade è al di fuori dell'Olimpiade che si vede in tv, semplicemente un villaggio molto umano e sorprendente. Ed è qui che entra in campo l'amore, che non è solo (ma anche) quello per esempio tra due persone che si sfiorano perché arrivati lì come volontari e che si rincorrono negli anni senza mai raggiungersi davvero. O quello tra due atleti, facile o difficile secondo l'umore. No, l'amore può essere anche quello per il proprio cavallo, compagno di gare e di sacrifici. O quello negato agli atleti di regimi che non ammettono distrazioni dalla missione di vincere. Ma pure quello per il proprio fucile, se questo serve a centrare il piattello o il bersaglio della vita. E ancora quello nascosto di un atleta troppo macho per poter amare diversamente, a cui però si aggiunge anche l'amore un giorno di poter finalmente dire la verità. Romanzi, insomma. Come quello di due fratelli - straziante e bellissimo - che trasforma il dolore in una felicità di famiglia. Con Conner, quello sano, che gira il mondo come triathleta e Cayden, quello diverso, ancorato saldamente dietro in una carrozzella o in un canotto, che ride con gli occhi saltando l'ostacolo di una paralisi cerebrale per esistere, esistere davvero. Loro che a Rio non ci saranno perché sono ancora troppo piccoli per un'Olimpiade, ma che eppure hanno già vinto.

I Giochi d'amore insomma sono questi, raccontati da Alberto attraverso Don Carlo, il cappellano di tre spedizioni azzurre chiamato a dispensare il suo, di amore, soprattutto nel momento della sconfitta. Perché, come disse una volta un pastore di anime, «il mondo è un posto davvero difficile, ma è pieno di impronte lasciate da Dio». Più semplicemente Niccolò Campriani, che quattro anni fa a Londra ha vinto l'oro nella carabina, disse che non sapeva cosa facesse di un atleta un campione, «ma se volete vi dico cosa fa di un atleta un uomo felice». La passione per uno sport, sicuro. E l'amore per la verità, che nel 1968 fece finire Peter Norman il più grande velocista australiano bianco in mezzo ai due neri più famosi dei giochi: Tommy Smith e John Carlos. Quelli del pugno guantato e alzato nella lotta pacifica per la black people. Un'immagine unica, in cui Peter diventa una macchia bianca che scompare dall'immaginario collettivo per restare un fantasma in una fotografia.

Norman sparì infatti, boicottato da tutti per il suo onore, morto solo e dimenticato. Eppure quel giorno, al funerale, a portare la bara c'erano Tommy e John perché l'amore ai Giochi è uno stile che bisogna imparare per vivere meglio. Ed è anche un libro tutto da leggere.

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