Alessandra Ghisleri: "Lavoravo in un call center e, confesso, mi piaceva"

La signora dei sondaggi: «Ho fatto la tesi studiando i fondali del Tirreno. Poi ho scoperto la passione per la gente e per i numeri»

Alessandra Ghisleri
Alessandra Ghisleri

Nel suo studio di direttrice di Euromedia Research si trovano due grandi riproduzioni della Marilyn di Warhol, tante piccole pile di libri sul parquet, un maxi monitor sulla scrivania, una lampada da terra su cui appiccica i post-it di congratulazioni, ma nessuna sfera di cristallo. Alessandra Paola Ghisleri, nostra signora dei sondaggi (copyright del sito Dagospia), non è un'indovina eppure le azzecca tutte. Dal computer estrae alcuni report di fine febbraio, che allora non potevano essere dati ai giornali (ma ai committenti sì), in cui i risultati del 4 marzo erano anticipati con precisione millimetrica. Ormai lo standard è consolidato e lei da tempo è diventata un oracolo televisivo, ospite dei talk show politici, un tempo «Ballarò» e più di recente «Porta a porta». Eppure, garantisce Ghisleri, la politica che le ha dato visibilità e soddisfazioni non supera il 20 per cento del fatturato di Euromedia: «Magari quest'anno un po' di più, considerate le elezioni».

Chi sono gli altri vostri clienti?

«Lavoriamo con molte aziende in tanti settori: il turismo, la grande distribuzione, il farmaceutico, le banche, il food. Un raggio d'azione molto vasto».

Lei è una geologa. Come è diventata sondaggista?

«Sono nata in Liguria e laureata in oceanografia paleontologica, da ragazza mi vedevo su una barca, al mare, con il viso segnato di salsedine... Ho fatto la tesi scandagliando i fondali del Tirreno su una nave oceanografica. L'impatto con il mondo del lavoro è stato duro, arrivando da una facoltà così specifica e così difficile avrei dovuto intraprendere un cammino lungo e dalle prospettive incerte, e forse non era la mia strada».

Che cosa fece?

«Mentre studiavo in Statale a Milano ho fatto vari lavoretti, come la vestierista nelle sfilate di moda e la vendeuse di articoli nei supermercati: promuovevo la carne irlandese o facevo assaggiare i caffè, che poi sono una sottospecie dei blind test di oggi. Ho lavorato nei call center, facevo le telefonate per un importante istituto e alla fine mi accorsi che la cosa non mi dispiaceva. Il fratello di un mio amico, docente universitario di sociologia del diritto, aveva bisogno di qualcuno che sapesse scrivere e capisse di statistica. Per la tesi avevo studiato molta statistica e mi sono detta: ci provo. È avvenuto tutto come per caso».

La statistica è appunto la scienza che studia l'apparente casualità.

«Al professore il mio articolo piacque perché avevo una maniera diversa di vedere le cose. Ero completamente avulsa dal sistema informativo della politica italiana di quel momento perché facevo altro. Così a poco a poco sono entrata in questo ambito. Ho capito che mi piaceva, che provavo una passione incredibile per il contatto con la gente. Poi sono curiosa, mi piace capire il perché delle cose. Ho preso quella strada e ho imparato molto. Nel 2003 ho deciso di costituire una società con un socio, Alfonso Lupo. Ci eravamo dati un anno di tempo e poi verificare se proseguire».

Anche in questo caso ha fatto un passo alla volta?

«A noi va bene così, non amiamo gli eccessi, prendiamo solo i lavori che sappiamo di poter fare bene. È un modo di lavorare che ci diverte, i clienti sono soddisfatti e chi lavora con noi lo fa da tanto tempo. Anche i ragazzi degli stage si divertono perché capiscono che questo è un lavoro affascinante. Ci occupiamo di tanti temi e tra i vari dipartimenti c'è un intreccio, una voglia di condividere, una contaminazione, e rapporti importanti con l'estero. Si cresce ogni giorno, ci si accorge che più vai avanti più sai di non sapere, come insegnava Socrate. Il nostro approccio è che dobbiamo sempre imparare qualcosa per crescere».

Che competenze deve avere un sondaggista?

«Ci sono pochi uomini nella nostra società, soltanto tre fra le figure fisse: lo statistico, il capo del settore politico e il mio socio. Tutte le altre sono donne perché quando si trattano tematiche molto sensibili abbiamo un approccio diverso. Ci vuole tanta curiosità perché non è un lavoro a ciclostile dove timbri ed esegui, ma devi usare la testa, la fantasia, l'attenzione, devi essere sempre informato. Se tratti il food e devi costruire percorsi per il rebranding di un prodotto oppure per riposizionarlo, devi sapere quali sono i competitor, chi mangia che cosa, quale è il target, se il prodotto è vecchio o nuovo. Devi costruirti palinsesti di informazione immensi, e poi hai uno scambio con i colleghi e con quelli di fuori. Ci confrontiamo con un network internazionale e ogni volta si scoprono cose incredibili».

Per esempio?

«Che l'Italia non è indietro, non è la provincia d'Occidente, in molti settori siamo numeri uno. Siamo creativi nell'approcciare i problemi e sappiamo adattarci, che per me è segno di intelligenza e superiorità. Chi non si adatta non sopravvive. I giovani hanno una buona formazione scolastica e universitaria, sono ben preparati con una cultura trasversale; poi la voglia di lavorare e inserirsi nel sistema del lavoro fanno la differenza».

Eppure i nuovi governanti non mostrano capacità di adattarsi, nella comunicazione politica vince il «basta adeguarsi, basta piegarsi».

«Sono cose diverse. Matteo Salvini si adatta a quello che vuole la gente. Ha scelto una linea che piace molto e ha dimostrato capacità di comprendere le posizioni degli elettori. È uno dei pochi politici che ascolta bene».

Il gradimento degli italiani verso il governo resta buono?

«Sì, però guardingo. La gente vuole valutare le azioni dei ministri e anche chi non ha votato i due partiti al governo se ne interessa. Ma ha fatto bene Giancarlo Giorgetti a consigliare a Salvini di tenere sulla scrivania la foto di Matteo Renzi».

Per non cadere dalle stelle alle stalle.

«Appunto. Quando ci si espone così tanto e si ha un contatto così forte è difficile tenere sempre il legame con il territorio, ed è importante circondarsi di persone prive di interessi personali».

Conferma che Salvini è percepito come il vero leader dell'esecutivo?

«Salvini ha un'esperienza maggiore, sta in politica da più tempo e la Lega è un partito con una storia e una gerarchia. Luigi Di Maio è bravo ma deve costruire il proprio percorso. E poi ha un dicastero complesso con dossier molto pesanti. Però può contare su battitori liberi come Beppe Grillo e Alessandro Di Battista, che mantengono un buon dialogo con la base».

Salvini è dipinto come fascista, nazista, razzista. Per i sondaggi lo sono anche gli italiani?

«Salvini spinge molto i temi ed è capace di rendere bene le sue priorità. Tutto parte dalla percezione che si ha dei problemi, da come li si conosce. I media non ci mostrano che cosa accade al di là del Mediterraneo, i Paesi africani non consentono ai reporter di essere presenti o non ne garantiscono la sicurezza. Noi conosciamo ciò che vediamo, cioè la paura di essere derubati in casa, di portare i bambini al parco, di girare per strada. Salvini ha fatto uno switch, si è messo dalla parte della gente e non delle istituzioni. Prende le parti che la gente desiderava prendesse. O che la stessa logica imporrebbe di prendere».

Che cosa intende?

«Penso a Sergio Bramini, l'imprenditore costretto a vendere l'azienda perché lo Stato non lo pagava. O alla signora che riceve un sussidio non chiesto, lo vuole rifiutare ma è obbligata a incassare i soldi, poi a restituirli ma pagandoci le tasse e perdendo gli assegni familiari. La gente si trova davanti a muri di illogicità e chiede un cambiamento. Spesso i politici pensano di essere superiori perché muovono una leva o schiacciano un bottone. Invece devono ascoltare ciò che si muove. Il nostro è un Paese difficile ed eterogeneo, non uniforme come altre società europee».

Quali rapporti si creano tra politici e sondaggisti?

«A volte difficili. Sono tanti i motivi per cui ci si rivolge a ricercatori per analizzare la politica: costruire un percorso, capire a che punto del percorso ci si trova, aprire una strada nuova, valutarsi, conoscere tematiche. Il ventaglio è ampio. La difficoltà è rendersi conto che noi non siamo maghi ma costruiamo scenari. Diciamo: se lei fa questa mossa che piace a questo target, c'è la possibilità di andare in una certa direzione. Quello che facciamo noi è sentire la gente tutti i giorni. Dall'inizio dell'anno abbiamo fatto 280mila interviste per le nostre ricerche, non solo di politica, e questo ci rende l'idea di che cosa si muove nella società italiana. Quando questo è chiaro i rapporti sono di stima, talvolta amicizia anche forte che diventa una consulenza continuativa».

Qual è la vostra dote migliore? Costruire gli scenari giusti?

«Noi lavoriamo nel presente, fotografiamo l'oggi. In vista delle elezioni del 4 marzo abbiamo fatto percorsi con alcuni clienti non politici: banche, fondi, grandi aziende, realtà straniere. Lì abbiamo trattato le tematiche che in quel momento colpivano e riuscivano a modificare il sentire degli italiani. Per esempio, il caso Macerata ha provocato una rottura fortissima».

La diciottenne Pamela Mastropietro uccisa e fatta a pezzi da spacciatori africani.

«Si è creata una frattura molto profonda tra le istituzioni e la gente. Le mamme dicevano: tutti sapevano che si spacciava ma lo Stato non ci ha aiutato. Lo scempio del corpo della ragazza ha provocato una reazione molto accesa. Il desiderio era dire basta, occorre un cambiamento. Essersi candidato a Macerata non ha aiutato l'ex ministro Marco Minniti, tutt'altro, nonostante al Viminale avesse avviato un percorso nuovo nel gestire la questione migratoria».

E che cos'altro avete percepito?

«Per esempio, il malessere delle piccole imprese. Rappresentano il 95 per cento del tessuto produttivo italiano, tuttavia sono poco ascoltate. Per loro la flat tax c'è già, hanno un'aliquota che è come una ghigliottina. A loro non devi dire che introdurrai la flat tax, ma che abbasserai l'aliquota».

Silvio Berlusconi fu il suo primo cliente importante. Oggi vengono da lei anche gli altri?

«Berlusconi è stato un grande innovatore, aveva la mentalità di chi entra in un mercato e non a caso il suo primo consulente sondaggista fu Gianni Pilo. Comunque sì, a noi si rivolge chiunque».

Qual è il cliente migliore, quello che vi obbedisce?

«Quello che ascolta, legge, mette assieme i fatti e poi sceglie. Noi forniamo conoscenza per. Meno influenziamo, più siamo staccati, più bello è il nostro lavoro. Il migliore è chi assorbe come una spugna, chi ascolta più persone per costruire un percorso proprio. So che i leghisti hanno tabelle su cui segnare le presenze ai gazebo in strada: il contatto è tutto».

La tecnologia vi è alleata o nemica?

«Ho iniziato questo lavoro quando si telefonava nelle case ai numeri fissi. Adesso i telefonini hanno ribaltato il sistema, nelle case si chiama ancora ma acquisiamo informazioni tramite gli smartphone, il web e anche altri sistemi. Per esempio, riusciamo a calcolare il tempo di persistenza della singola persona davanti a un certo oggetto, per esempio un cartellone pubblicitario o una locandina in edicola, monitorando perfino gli automezzi. Prima c'era il contapersone, con un elevato rischio di errore, ora si studia il movimento degli occhi e l'attività cerebrale con una discrepanza impercettibile».

Le reti sociali rientrano nelle vostre rilevazioni?

«Utilizziamo moltissimo i social soprattutto per entrare in rapporto con i più giovani. Noi facciamo incontri regolari con gruppi di ragazzi, talk group più che focus group. Li facciamo parlare di un tema. Quelli che oggi hanno 22-24 anni, quando ne avevano 17-18 già non utilizzavano le mail, parlavano attraverso le chat dei social, più segrete. Gli chiedevamo di lasciarci gli indirizzi mail e loro ci guardano stupiti».

C'è un cliente che non ha ancora e le piacerebbe avere?

«Tutti, il cliente del domani è sempre benvenuto.

Ma quello che ci soddisfa molto è che abbiamo una fidelizzazione buona con i nostri clienti, questo sì. Capiscono che siamo a tenuta stagna e lavoriamo coscienziosamente, cioè con coscienza. Sono contenta perché vuol dire che sono soddisfatti, e questo mi rende felice».

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