A Lecce lezioni di «911» per i futuri ingegneri Obiettivo più efficienza

LecceQuasi cinque decadi di evoluzione tecnica riassunte dal modello-icona della casa, con cui Ferry Porsche coronò il sogno di una vettura sportiva come nessun’altra, in omaggio alla regola tuttora valida a Stoccarda di produrre sempre l’auto che non c’è. La parabola del marchio sotto la lente dello sviluppo tecnologico, davanti alla platea degli studenti di ingegneria dell’ateneo di Lecce, si concentra sulla 911, ancor oggi il prodotto di punta dell’azienda. «Un percorso, il suo - sottolinea Antonio Tissi, per 23 anni responsabile del post vendita di Porsche Italia - compiuto perfezionandosi nel tempo, ma rimanendo fedele a se stessa, senza mutare i propri stilemi né l’inconfondibile silhouette». La stessa con la quale varcherà fra tre anni il mezzo secolo, sfruttando un propulsore benzina-elettrico sulla scia della nuova Gt3 R Hybrid presentata a Ginevra. Come a chiudere un cerchio che origina nel 1900, quando la vettura Lohner-Porsche, ibrido ante-litteram munito di motori elettrici applicati ai mozzi delle ruote, fece scalpore all’Expo di Parigi.
E se in principio era la funzionalità a orientare le scelte progettuali e di design, che all’insegna del less is more aveva ispirato Butzi Porsche prima nella messa a punto dell’aerodinamica della 356 e poi nel dare forma compiuta alla 911, già alla fine degli anni ’90 la riduzione delle emissioni dettava con prepotenza la linea tecnica.
Impressiona la metamorfosi tecnologica che accompagna il passaggio dal primo boxer 6 cilindri, 2.0 per 130 cv, motore posteriore a sbalzo con lubrificazione a carter secco, due valvole per cilindro e un albero a camme per bancata, che respirava tramite una coppia di carburatori Solex ed era accoppiato a un efficace cambio a 5 marce, al suo erede di 35 anni dopo: il propulsore della 911 (996) del 1998 è il primo raffreddato ad acqua, «soluzione necessaria sia per conformarsi alle stringenti normative americane sull’inquinamento - spiega il responsabile tecnico di Porsche Italia, Paolo Gabrielli - sia per raggiungere un rapporto di compressione più elevato, impossibile nella versione 993, giunta alla massima espressione dell’air-cooled».
E il motore M96, 3.4 litri per 300 cv, due alberi a camme in testa con compensazione idraulica del gioco delle valvole e comando della distribuzione VarioCam (che regola fasatura degli alberi e alzata valvole di aspirazione in funzione dei giri e del carico) è anche il primo con pistoni pressofusi, quattro valvole per cilindro e struttura open deck, con temperatura gestita dalla centralina di controllo motore. Dieci anni ancora, e il sistema di iniezione diretta porta a ulteriori incrementi di potenza (345 cv per l’attuale 911 Carrera, 385 nella versione S) riducendo al contempo consumi e CO2: «Iniettori ottimizzati garantiscono in tutte le modalità operative una distribuzione ottimale del carburante nella camera di combustione; la riduzione della temperatura permette una maggiore compressione e, grazie alla doppia iniezione, la temperatura d'esercizio dei catalizzatori viene raggiunta più in fretta». Tecnica di progetto, ma anche organizzazione di processo. «Oggi l’azienda - dice l’ad di Porsche Consulting Italia, Federico Magno - è snella e flessibile, produce just-in-time, senza magazzini, con fabbriche di dimensioni scalabili, al crescere delle esigenze produttive».

In ogni stabilimento c’è un’unica linea che costruisce un mix di modelli: così, 911, Boxster e Cayman da un lato, e Cayenne e Panamera dall’altro, condividono i principali componenti e si avvalgono di assemblaggi similari. «Porsche è un’azienda-rete organizzata per team, dove l’eccellenza di prodotto fa il paio con quella di processo: la chiave per fronteggiare e superare la crisi».

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