La legge elettorale impantanata nei litigi

Anche ieri nulla di fatto nella commissione Affari costituzionali al Senato. Neppure il premietto proposto da Calderoli sblocca la situazione

La legge elettorale impantanata nei litigi

Roma - Sulla legge elettorale è stallo. Ieri l’ennesima discus­si­one in commissione Affari co­stituzionali al Senato non ha partorito nulla. Troppo distan­ti le posizioni dei partiti della «strana maggioranza» e neppu­re la mediazione del cosiddetto lodo Calderoli ha sbloccato la si­tuazione. In più, Pd e Pdl sono divisi al proprio interno. La sin­tesi della giornata la fa Carlo Viz­zini, presidente di commissio­ne: «Il mio giudizio su quello che abbiamo fatto oggi è che ab­biamo fatto un passo di lato». Quindi nulla di fatto. La questio­ne principale riguarda il cosid­detto «premietto». Passo indie­tro: la settimana scorsa Bersani era finito nell’angolo dopo che Pdl, Udc e Lega avevano votato a favore di un premio di maggio­ranza alla coalizione che aves­se ottenuto il 42,5% dei suffragi. Soglia altissima. Così, furioso, il Pd aveva fatto sua la proposta dello studioso D’Alimonte: se nessuno ottiene il 42,5%, alme­no venga riconosciuto il «pre­mietto » del 10% al primo parti­to. Premio troppo alto, non se ne parla, risponde il Pdl. Muro contro muro, quindi.

A cercare di mediare, la pro­posta Calderoli, autore del «Por­cellum » che si sta cercando di cambiare. Il leghista propone una soglia minima del 40% (e non più del 42,5%) dei voti alla lista o coalizione di liste. Come premio, invece, si propone, alla lista che ha ottenuto più voti, un bonus corrispondente al 25% dei seggi già assegnati. E il dibattito, quindi, si sposta sul bottino. Il Pdl arriverebbe a con­cedere fino al 20% (pari al 7% del totale). Per il Pd è ancora troppo poco. «Almeno il 30%», fanno sapere dal quartier gene­rale di Bersani. Risultato: im­passe con reciproche accuse. Il Pdl accusa Bersani di voler mandare tutto all’aria per anda­re al­voto con il Porcellum e vin­cere facile.

Bersani accusa il Pdl di non voler far vincere Bersani e di spingere per un risultato di assoluta ingovernabilità per po­ter dire la pro­pria in un possibi­le governo di Grosse koalition . E Casini?Rischia di fare l’ago del­la bilancia e se in chiaro non si esprime («Di legge elettorale non ne voglio più parlare») di fatto tifa perché alle prossime elezioni non vinca nessuno e si vada diritti verso un Monti bis. Sul senso della mozione Cal­deroli nessuno rompe. «Sono contento che sia stata condivi­sa la filosofia della mia propo­sta, cioè che il cosiddetto “tom­bolino” o “premietto”non sia ri­gido ma proporzionale al risul­tato conseguito »,dice l’ex mini­stro leghista. Infatti, Gasparri non chiude: «Io sarei contrario al “premietto”, che in pratica è un regalo, ma se serve a sblocca­re la situazione ci si può ragiona­re ». E neppure Finocchiaro: «È possibile si apra un nuovo con­fronto ». Bersani, comunque, ri­corda il paletto: «Ci vuole una legge elettorale che consenta, la stessa sera del voto, di fare sa­pere al mondo che è possibile in Italia avere un governo. Per­ché se ciò non fosse possibile sa­rebbe uno tsunami».

In realtà all’interno del Pd non si ragiona in coro.

I veltro­niani (e tutti quelli non ostili a un Monti bis), non si impicche­rebbero al «premio» così alto. Stesso discorso per il Pdl sul no­do delle preferenze. Almeno una quarantina di parlamenta­ri resta pr­ofondamente contra­rio alle preferenze.
Come del re­sto Berlusconi.

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