Discriminare è giusto. Ma bisogna saperlo fare

In tempi di politicamente corretto e cancel culture difendere l'indifendibile diventa non solo una necessità ma un obbligo se si ha a cuore la libertà

Discriminare è giusto. Ma bisogna saperlo fare

In tempi di politicamente corretto e cancel culture difendere l'indifendibile diventa non solo una necessità ma un obbligo se si ha a cuore la libertà. Ne è consapevole Walter Block, economista statunitense, esponente della scuola austriaca, figura dalla difficile definizione tra anarcocapitalismo e libertarismo e autore di un'opera cult intitolata proprio Difendere l'indifendibile. Un libro che rivaluta e descrive sotto una diversa luce figure relegate ai margini della società, dal ruffiano al maschilista, dallo speculatore al ricattatore con un gusto del paradosso e dell'ironia difficile da trovare in economisti del suo calibro. Non a caso Hayek, dopo aver letto il libro (uscito in prima edizione nel 1976), scriverà: «sfogliando Difendere l'indifendibile ho avuto l'impressione di essere nuovamente esposto alla terapia d'urto con cui, più di cinquant'anni fa, il compianto Ludwig von Mises mi convertì a una posizione liberista coerente. Persino adesso rimango a volte incredulo, e penso ora si esagera, ma di solito concludo alla fine che lei abbia ragione».

Ora la casa editrice Liberilibri di Macerata dà alle stampe un nuovo lavoro di Block, Le ragioni della discriminazione. Una difesa radicale della libera scelta, un'opera che si pone in un filone ideale di continuazione del suo libro più noto e arricchita da un'introduzione all'edizione italiana. Block sin dalle prime righe mette in guardia il lettore «scrivo dal punto di vista politico-economico del libertarismo» soffermandosi sul significato negativo che ha assunto il concetto di discriminazione. Un tempo «essere discriminati significava essere in grado di percepire sottili distinzioni. Era un complimento. Un gusto discriminante significava un gusto colto», oggi invece non è più così «tacciare qualcuno di comportamento discriminante significa insultarlo e calunniarlo». Non solo, vuol dire anche considerarlo un criminale poiché «in molte civiltà in apparenza civilizzate praticare una discriminazione è contro la legge». La vulgata woke ci dice che «in assenza di discriminazione, tutti i gruppi concepibili sarebbero esattamente uguali sotto tutti i punti di vista. Il fatto che non lo siano è dovuto alle macchinazioni dei malvagi maschi bianchi etero». In realtà, afferma Block, non è assolutamente così e non è vero «che la sofferenza economica provata da questi gruppi di vittime, a causa di tali divari, sia dovuta alla discriminazione». Block lo spiega attraverso alcuni esempi: «gli uomini, per scelta, svolgono professioni più pericolose delle donne. Gli italiani sono famosi nel mondo per il cibo e il vino, i tedeschi per la birra, gli irlandesi per i distillati, i canadesi per l'hockey». Nessuno ha obbligato questi gruppi a specializzarsi in tali attività ma lo hanno fatto volontariamente.

È invece nel Dna dei «totalitarismi» cancellare le diversità garantendo che ogni gruppo sia equamente rappresentato in ogni professione. Block fa un esempio calzante legato ai giocatori di football e basket negli Stati Uniti che sono per circa l'80% di origine africana a fronte di solo il 13% della popolazione americana con un'origine analoga. Se si applicassero i criteri della non discriminazione, le conseguenze per questi giocatori professionisti sarebbero nefaste da un punto di vista economico e di carriera. In realtà, come spiega Llewellyn Rockwell (altra figura di riferimento del mondo libertario) nella sua prefazione al libro, «discriminazione non significa altro che scegliere tra opzioni in un ambiente di scarsità». Abolire la discriminazione vuol dire abolire la libertà di scegliere ed è ciò che lo Stato cerca di fare attraverso le «quote». Secondo Rockwell «esistono poche forme di pianificazione centralizzata più gravi di questa. Le quote creano risentimento di gruppo e alimentano il conflitto e l'odio laddove non ce n'è alcun bisogno, il tutto in nome della risoluzione dei conflitti e della proibizione dell'odio», è in sostanza «un classico caso in cui l'obiettivo dichiarato dello Stato produce esattamente l'effetto opposto».

Block propone un approccio diverso a quello delle imposizioni dall'alto da parte dello Stato con una visione cara al pensiero liberale e libertario secondo cui non serve nessuna amministrazione centrale per la pace sociale poiché le persone devono risolvere in autonomia i propri problemi, solo così ci sarà la prosperità di tutti i gruppi. Un modus operandi nato dalla consapevolezza che nella nostra società la discriminazione sia ovunque e si manifesti in numerosi modi e forme e non sia solo sessuale, razziale e anagrafica ma anche, per esempio, in base all'altezza o alla lingua.

Chi invoca un intervento del governo per contrastare le discriminazioni lo fa per limitarne i presunti effetti economici, in realtà Block spiega che «molti programmi governativi apparentemente progettati per alleviare i problemi non fanno altro che peggiorare la situazione». Da qui la sua visione per cui «il mercato elimina alcune forme di discriminazione» e, al contrario, «ogni volta che i legislatori approvano misure che distorcono gli incentivi di mercato, si verificano conseguenze indesiderate».

Il punto focale del suo ragionamento Block lo affronta parlando di femminismo, differenze di genere e discriminazione sessuale «il mancato riconoscimento delle differenze è molto diverso dall'effettiva eliminazione di tali differenze», ciò vale in particolare nel riconoscere le differenze tra uomini e donne. Difendere le diversità significa opporsi a una visione omologante che ci vorrebbe tutti uguali colpendo le libertà individuali e dei singoli.

In conclusione del suo libro, Block propone ciò che definisce «il compromesso libertario» per cui «il libertario vede un abisso filosofico incolmabile tra il governo, che è necessariamente basato sulla forza e sulla coercizione, e la sfera privata, che consiste nell'interazione volontaria».

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