L'INCHIESTA / FOLLIE DI STATO Riforma sanitaria in Burundi, paga l’Italia

Alle Ong 34 milioni di fondi pubblici. Soldi perfino al Polo Sud: 132mila euro per gli studi nei ghiacci. 852mila euro per sostenere la riforma sanitaria del Burundi. Risorse anche per tutelare il piatto principe della dieta mediterranea: gli spaghetti

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Riforma sanitaria in Burundi, paga l’Italia

Il sostegno della riforma sanitaria nel Burundi? Nel 2010, rivela la Corte dei Conti, è costato 852mila euro. Lo Stato italiano si occupa anche di questo, anzi per la precisione è il ministero degli Esteri a ottimizzare le politiche per la cooperazione sulla base di quanto previsto dalla legge approvata nel 1987.

Nello stato di previsione 2011 della Farnesina le risorse finalizzate a questo tipo di intervento si attestano a 165 milioni di euro. Cifra che scende a 158 milioni se si scomputano i costi degli uffici esteri (4,75 milioni) e quelle per esperti e consulenze (2,25 milioni). Contenzioso (un milione) e formazione (4,8 milioni) ed emergenze idrico-sanitarie (11,3 milioni) portano a 140 milioni le risorse per i tre fondi principali. Quello di minore importo (33,8 milioni) è per le organizzazioni non governative «idonee», ossia riconosciute dalla Farnesina.

L’elenco è lunghissimo e comprende oltre 200 beneficiari: dalla Comunità di Sant’Egidio a Emergency (che nel 2009 però non ne ha usufruito), Cesvi (4,1 milioni nel 2010) e Wwf per giungere fino all’associazione Differenza Donna e alla Federazione italiana maricoltori che tutela il mondo della pesca ma si occupa anche di aiuti. Lo status di onlus inoltre consente a molte di loro di accedere pure alla ripartizione del 5 per mille. Oltre al fatto che quelle più attive a livello internazionale (Emergency e Cesvi sono tra queste) ricevono contributi dall’Onu e da altre organizzazioni internazionali. Queste ultime, a loro volta, sono finanziate anche dall’Italia. Il capitolo vale 45,6 milioni ai quali bisogna aggiungere anche i 10 milioni di stanziamenti del Tesoro per questi organismi. In primis, Banca Mondiale, Fao e Programma alimentare mondiale.

L’impegno maggiore, circa 62 milioni, è destinato al fondo che finanzia direttamente la ricerca scientifica e la costruzione di infrastrutture nei Paesi in via di sviluppo. Queste risorse però sono anche impiegate per iniziative finanziarie delle imprese italiane che assumono partecipazioni di rischio per avviare business in queste terre. Il che significa che se un imprenditore vuole assumersi rischi in Paesi-obiettivo e relativamente «tranquilli» come Mozambico e Angola può usufruire della finanza del ministero degli Esteri e anche degli incentivi del ministero dello Sviluppo. Basta rischiare e lo Stato ti dà una mano. L’ironia è superflua, la trasparenza no. Sebbene l’Ocse abbia elaborato un modello di valutazione degli aiuti e nonostante il ministero degli Esteri invii al Parlamento ogni anno una relazione dettagliatissima sulla distribuzione degli aiuti (dei quali la cooperazione rappresenta solo una parte), «toccare» materialmente l’efficacia degli interventi non è semplicissimo.

Paradossalmente è più facile leggere questi dati sul multiforme budget del Tesoro che su quello degli Esteri. Nel 2011 Via XX Settembre ha già versato 25,5 milioni di euro all’Iffim, un’organizzazione dell’Onu che si occupa di vaccinazioni nel Terzo Mondo. Alla cancellazione del debito, inoltre, vanno 50 milioni. Nel bilancio della Farnesina i 625 di contributi a organismi vari sono stanziati un po’ frammentariamente. Per esempio, 8 milioni sono destinati all’Istituto agronomico per l’Oltremare di Firenze e all’Istituto agronomico mediterraneo di Bari che si occupano di cooperazione in agricoltura (pure del miglioramento della qualità dell’olio di oliva palestinese), mentre 31,2 milioni se ne vanno tra Onu, Ifad e Fao, e 5,1 milioni all’Organizzazione Onu per lo Sviluppo industriale. Altri 26 milioni sono distribuiti, tra l’altro, per il Wto, l’Ocse, la Convenzione sull’ozono e per gli organismi di studio su refrigerazione, gomma e legni tropicali. Chiarissimo, però, il milione destinato al Fondo per lo sminamento umanitario. Ma su 2 milioni per la solidarietà internazionale: 310mila euro sono stanziati per consulenze, 833mila per organismi vari e 322mila per la fornitura diretta di beni e servizi.

Non è un’inutile pignoleria. Basta considerare che su 447 milioni di altri contributi obbligatori figura ancora la Convenzione dell’Aja del 1899 e poi una sequela di ottemperanze legate ai trattati sul disarmo, sulla non proliferazione delle armi batteriologiche, sulla limitazione di alcune armi convenzionali e, infine, sulla protezione delle vittime dei conflitti armati.

Altri 42 milioni sono destinati all’Unesco e ai trattati collaterali come quello per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (come la pastasciutta, parte integrante della dieta mediterranea). E 131.697 euro sono stanziati per la protezione e gli studi nell’Antartide. Pinguini compresi. Ovviamente.

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