Pazienti contro medici: è guerra in ospedale

I medici chiedono aiuto, gli alpini si offrono come scorte. Cerchiamo di capire cosa sta succedendo in quest'Italia impazzita

Pazienti contro medici: è guerra in ospedale

All'ospedale Cardarelli di Napoli hanno formato un gruppo chiamato «Nessuno tocchi Ippocrate». In Puglia hanno scelto un nome che sembra una fiction: «Medici della notte». Sono tutti «medici in prima linea», ma al loro fianco più che di George Clooney avrebbero bisogno di un guardaspalle che li protegga dalle aggressioni. È uno dei nuovi mali della sanità italiana: camici bianchi picchiati e insultati dai pazienti e dai parenti, minacciati, addirittura violentati com'è capitato l'anno scorso alla dottoressa Serafina Strano, stuprata da un uomo mentre era in servizio alla Guardia medica di Trecastagni, presso Catania.

Secondo le associazioni del personale sanitario, il fenomeno è in crescita. Un sondaggio condotto tra aprile e maggio 2018 tra 1.280 medici e odontoiatri aderenti alla Fnomceo (Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri) rivela che due terzi di essi ha subito aggressioni fisiche (34 per cento) o verbali (66 per cento). Il 72 per cento degli episodi è avvenuto al Sud o nelle isole. Otto casi su 10 hanno coinvolto medici del Pronto soccorso o del 118. Sette intervistati su 10 hanno ammesso di essere stati testimoni di aggressioni verso personale sanitario. Sono numeri elevatissimi anche limitando il bacino ai soli 102mila medici a tempo indeterminato operanti nelle Asl a gestione diretta sui 354mila complessivamente attivi in Italia nel 2016. Fortunatamente, gli episodi gravi considerati dall'Inail infortuni sul lavoro sono molti meno: nel 2017, su 4.000 casi di violenza sul posto di lavoro, 1.200 hanno colpito operatori della sanità. E per il 70% donne. La stima della Fiaso (Federazione aziende sanitarie e ospedaliere) è di 3.000 aggressioni ogni anno.

LE EMERGENZE

Numeri drammatici che fotografano una forte tensione tra medici e pazienti, soprattutto nelle emergenze. Nell'ultimo paio di mesi sono avvenute decine di aggressioni. All'ospedale Sant'Andrea di Roma il papà di un ragazzo ricoverato ha stretto le mani attorno al collo della dottoressa di turno. A Palese, alle porte di Bari, un equipaggio del 118 è stato minacciato da un paziente armato di una katana, la spada giapponese usata dai samurai. Sempre nel Barese, ad Adelfia, un paziente è entrato alla guardia medica con un coltello in mano, esasperato per una prestazione negata in un ospedale vicino. A Taviano (Lecce) è stata tentata una violenza sessuale su una dottoressa chiamata a casa del paziente. Al San Luca di Lucca un'infermiera all'accettazione del pronto soccorso è stata aggredita due volte a distanza di qualche settimana. Al San Gerardo di Monza un uomo si è cosparso di benzina tentando di darsi fuoco paralizzando il pronto soccorso per quattro ore: «Sberle, pugni, occhiali rotti purtroppo non si contano - ha raccontato il primario, Ernesto Contro -. C'è anche chi ha usato spray al peperoncino contro la guardia».

Nella sola città di Napoli dall'inizio dell'anno gli episodi sono stati una cinquantina contro gli appena 16 dell'intero 2017: un cardiologo del Cardarelli preso a pugni dal marito di una paziente; una dottoressa del 118 assalita da parenti e amici di una coppia caduta dal motorino che stava soccorrendo; un infermiere del 118 colpito con un casco e con una testata da una persona coinvolta in un incidente stradale che voleva scegliere l'ospedale dove essere visitato; un chirurgo plastico aggredito da un paziente che non gradiva i tempi dell'intervento. Una sera un'ambulanza del 118 è stata sequestrata nel parcheggio dell'ospedale Vecchio Pellegrini da un gruppo di giovani infuriati arrivati in scooter: volevano soccorrere un amico coinvolto in un incidente ai Quartieri spagnoli. Non trovando la barella a bordo i teppisti ne hanno presa una incastrandola a forza e danneggiando il mezzo; uno di loro si è messo alla guida scalzando l'autista, terrorizzato. Sul posto erano già giunte due ambulanze allertate dal pronto soccorso, ma il ragazzo era deceduto. Così un'ondata di violenza si è abbattuta su dottori e infermieri presenti.

I medici e i responsabili delle strutture sanitarie cercano rimedi. Moltissimi reparti di pronto soccorso sono già dotati di chiamata diretta alle forze dell'ordine o a vigilanze private. La Regione Veneto ha riorganizzato le guardie mediche spostando gli ambulatori isolati e dotandoli di allarme, videocitofono, telecamere esterne con registrazione, sbarre alle finestre, vetri antisfondamento, porte blindate: un bunker. A Pordenone gli alpini, sempre in prima linea se c'è da dare una mano, si sono offerti volontariamente per scortare i medici in ambulatorio e nelle visite domiciliari.

L'AIUTO DELLA TECNOLOGIA

Da Udine a Modena, si moltiplicano le aziende sanitarie e gli Ordini dei medici che organizzano corsi di autodifesa. Mario Forletta, direttore dell'Asl Napoli 1, farà installare sulle ambulanze un sistema di videosorveglianza mentre i medici avranno appuntata sui camici una minuscola webcam collegata a una centrale operativa. «Stiamo sollecitando le direzioni delle Asl ad applicare alla lettera le norme sulla sicurezza dei posti di lavoro», dice Roberto Monaco, segretario nazionale della Fnomceo. Al ministero della Salute è stato avviato il 13 marzo un Osservatorio permanente sul fenomeno che però non ha ancora ingranato la marcia. C'è un tavolo di lavoro all'Agenas (l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) e un altro tavolo di consultazione permanente con i sindacati.

Ma oltre alle iniziative di ordine pubblico e alle commissioni occorre anche riallacciare un rapporto tra medici e pazienti. «Informare i cittadini sulla nostra attività è essenziale», dice il dottor Manuel Ruggiero, medico del 118 al Cardarelli di Napoli e presidente dell'associazione Nessuno tocchi Ippocrate. «Siamo la prima risposta che il sistema dà ai pazienti. Ma siamo anche il parafulmine di richieste immotivate: molta gente ci chiama per cose che dovrebbero essere risolte dal medico di base o dalla guardia medica, c'è gente che aggrava i sintomi per essere soccorsa, addirittura una volta ci hanno chiamato per una lite in famiglia. L'Asl 1 di Napoli ha 18 ambulanze, se veniamo chiamati per emergenze inesistenti si rischia di tardare quando l'urgenza è reale».

NORD-SUD

Informare, educare. Nella gente però crescono rabbia e pretese. «Qualche giorno fa siamo arrivati in 5 minuti dalla chiamata racconta Ruggiero e siamo stati comunque insultati da chi aspettava. Bisognerebbe che fossimo equiparati a pubblici ufficiali così ogni tipo di aggressione potrebbe essere perseguita. In ogni caso la violenza non è mai tollerabile: il nostro lavoro è salvare delle vite, siamo dalla stessa parte dei pazienti e dei loro familiari».

I ritardi, i tagli alle risorse e al personale, la disorganizzazione, le lunghe liste d'attesa hanno un peso significativo: alle aggressioni sul luogo di primo soccorso vanno sommate quelle nelle astanterie e negli ambulatori per l'esasperazione a volte insostenibile per i ritardi nelle cure. «I dati ci dicono che al Sud le aggressioni sono più frequenti aggiunge Monaco ed è lo specchio delle disuguaglianze di questo Paese. Le carenze organizzative sono maggiori. E noi medici siamo molto esposti perché lavoriamo sempre a diretto contatto con le persone. Spesso l'operatore sanitario è visto soltanto come un centro di spesa, non come un soggetto che tutela la salute pubblica.

Ma noi non abbiamo alcun interesse che il cittadino non venga raggiunto dalle cure, anche se spesso vengono alimentate false speranze. Il nemico comune a medici e malati è la burocrazia. Troppe carte e poco tempo per le cure. Dovremmo passare più tempo a guardare gli occhi dei pazienti che lo schermo del computer».

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