Lippi in Germania? Decide il commissario Rossi

Lippi in Germania? Decide il commissario Rossi

Franco Ordine

«Professore, così non possiamo giocare il mondiale». Il professore è Guido Rossi, 75 anni, da qualche giorno supercommissario della federcalcio investita dal ciclone Moggi, incaricato di preparare la soluzione del problema più angosciante: Marcello Lippi, Ct della Nazionale, sentito dai magistrati romani che indagano sul filone Gea, può sedere sulla panchina dell’Italia in Germania? L’implorazione gli arriva da tutto lo sport e da quel che resta della federcalcio, decapitata dei suoi maggiori esponenti, tutti coinvolti nell’inchiesta giudiziaria: Gianni Petrucci, il presidente del Coni che oggi lo accompagna nella visita pastorale a Coverciano, Giancarlo Abete, ex vice-presidente, riconfermato nell’incarico di capo-delegazione, Gigi Riva, team-manager, uno dei (pochi) volti puliti e presentabili dell’intera organizzazione. «Sul conto di Lippi non ci sono notizie allarmanti dal fronte giudiziario, terremo duro» la posizione apparecchiata una settimana fa dal club Italia sembra confermata nelle ultime ore, sia pure mitigata dal martellamento mediatico, trasversale, che parte dal Manifesto e si esaurisce sulle prime pagine dei quotidiani meno schierati, politicamente. «Professore, così non possiamo affrontare il mondiale». L’appello lanciato dev’essere raccolto questa mattina, a Coverciano, dall’interessato. Atteso dal passaggio più delicato e impegnativo della sua carriera di supercommissario della federcalcio.
Guido Rossi non può cavarsela con una frase ambigua. Deve tagliare il nodo. Resistendo a tutte le pressioni, dichiarate e non. Persino alle voci di soluzioni gradite alla Fifa, che andrebbero da un cambio in corsa (con Ancelotti) a un taglio, sempre in corsa, di Buffon, Cannavaro e Iaquinta, i tre cavalieri coinvolti in altre vicende, scommesse e pagamenti in nero. Sono entrambe impraticabili. Per lo stesso regolamento Fifa, un cambio di calciatori nella lista comunicata lunedì 15 maggio è possibile solo in caso di infortuni. Illazioni, dunque che hanno reso ancor più caotico il clima intorno alla spedizione azzurra. In soccorso di Rossi, e della sua posizione indolore, è arrivato ieri un esponente della politica. Il senatore a vita Giulio Andreotti ha difeso il Ct in carica con le unghie e con i denti. «Lippi deve andare in Germania. Stiamo assistendo a una demonizzazione ingiusta. Noi siamo un paese di garanzie civili e per ora è stata data solo pubblicità ad intercettazioni telefoniche, un sistema barbaro che pensavamo fosse caratteristica del fascismo» l’intervento appuntito come la lama di un’accetta.
Il professor Guido Rossi può togliere oggi Lippi dalla graticola, ma il viareggino dovrà poi rispondere agli incalzanti quesiti che sono rimasti sul terreno. All’uscita dal colloquio con i magistrati romani, si è fatto rimpiazzare da un asettico comunicato di tre righe, preparato dall’ufficio stampa della federcalcio. Non può cavarsela così, oggi. Invece che discutere di allenamenti e schemi tattici, dovrà parlare ancora dei rapporti con il figlio, consulente della Gea, esprimere giudizi sui dialoghi intercettati e pubblicati dai giornali nel frattempo. Dalla sua, Lippi ha l’appoggio incondizionato dello spogliatoio. In altre occasioni fu sufficiente per cementare il gruppo e incassare, sul campo, risultati insperati, mondiale di Spagna per intendersi. Lo continua a ripetere anche Arrigo Sacchi, uno dei pochi ad assumersi l’onere di schierarsi al fianco del suo collega, sulla fiducia. Ma la solidarietà del team nei confronti del proprio condottiero è in qualche modo dimezzata da altre spinose questioni. Riguardano tre azzurri, due di primissimo piano, Buffon e Cannavaro, il terzo, Iaquinta, destinato alla panchina. Il portiere e l’attaccante calabrese sono coinvolti nell’indagine sulle scommesse, il difensore della Juve deve rispondere di pagamento in nero incassato nell’ambito del trasferimento dall’Inter a Torino, in bianconero.
In nome e per conto del capitano della Nazionale ha preso ieri la parola il suo legale, Eugenio D’Andrea, al fine di correggere alcune imprecisioni nel panorama della stampa italiana: «Il mio assistito non è mai stato rappresentato dalla Gea ma, sin dagli esordi, dalla società Fedele management.

Inoltre non ha mai realizzato o partecipato a scommesse nell’ambito di nessuna disciplina sportiva». Sembra una smentita. È la conferma di una preoccupazione di fondo. Con una Nazionale così non si può affrontare il mondiale di calcio.

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