Macché eutanasia È disumano spegnere una vita

Opportunamente il Santo Padre, introducendo il popolo di Dio alla Quaresima di purificazione e preparazione alla Pasqua ha ricordato che, nelle ceneri distribuite quest'oggi, è bruciato l'uomo vecchio, che deve rinnovarsi e risorgere. Ho sempre preferito la vecchia formula liturgica rispetto a quella nuova più rassicurante che richiama alla conversione nel Vangelo.
L'antica recitava «ricordati o uomo che sei polvere e in polvere ritornerai». Una polvere speciale però, diciamo così laicamente una polvere di stelle, in cui dal fango fu plasmato Adamo il primo dei viventi. E in quel fango insufflata la ruah biblica, lo Spirito di Dio che anima e crea. Lo Spirito che ci rende inesorabilmente liberi e coscienti.
Ha scritto Charles Péguy: «Signore, se ci avessi voluti puri e perfetti come il cristallo, forse ci avresti impastati col fango?». Ma proprio questo è il punto: un fango abitato e animato dalla verità e libertà di Dio, che è Spirito e Vita. Per questo il corpo non potrà mai essere oggetto dell'arbitrio, della ragione e della legge umana. Né alcuno potrà mai arrogarsi l'arbitrio e il diritto di porre fine, richiesto o non richiesto, a un respiro, a uno sguardo, a una sofferenza che può trasformarsi persino in un sorriso, se una mano stringe un'altra mano dolente.
Molto più semplice e disumano, anziché accettare la sfida e l'incontro con il mistero, pensare di porre liberamente fine a un dolore scomodo un po' per tutti. Non importa se con un cuscino in faccia, come l'anchorman della Bbc con il suo amante ammalato di Aids, ma anche con un'iniezione letale o con qualsiasi altro peloso più che pietoso veleno. L'arbitrio dell'uomo non può sostituirsi alla libertà di Dio, che è un amorevole, anche se qualche volta incomprensibile, mistero.
Proprio per questo trovo osceno e aberrante che la stessa mano, che impugna il cuscino o la siringa letale, chieda in Inghilterra, e temo tra poco anche in Italia, l'istituzione di una sorta di corte o tribunale dei morenti.
Quale scappatoia migliore per la coscienza e per la sua drammatica libertà, che affidare alle toghe e alle pandette di un tribunale, la decisione che riguarda l'apertura o la chiusura della porta per l'infinito? C'è effettivamente un sottile, ma non impercettibile, legame, che salda gli entusiasti per i giustizialismi di tutte le epoche e i fautori della morte programmata a tempo, pomposamente chiamata «eutanasia», cioè buona. Per entrambi la legge è più importante dello Spirito. E i codici più dell'amore e della misericordia.
Peccato che San Paolo ci ricordi che la lettera uccide mentre lo Spirito dà vita e che la vera forza del peccato è la legge. Per l'amor di Dio, non che le leggi non servano a favorire la convivenza tra gli uomini. Ma pensare che si possa affidare a una legificazione e alla sua applicazione tribunalizia il mistero della vita e della morte, fa parte di una degenerazione mefistofelica del sano discernimento tra il bene e il male.
Penso con orrore a una Procura della Repubblica in cui si istruiscano a richiesta di amici, congiunti o parenti, esecuzioni programmate per malati terminali, in cui la qualità della vita appare a un giurì di toghe e uomini di legge intollerabile e non meritevole di essere vissuta.
Vi sono zone d'ombra o per meglio dire di chiaroscuro, in cui solo la luce della fede squarcia il velo dell'abisso e in cui la legge degli uomini non può e non deve spingersi. Così come pensare che l'etica del bene comune, che dovrebbe essere basata sul sentimento di appartenenza a una comunità umana o alla libera coscienza, possa essere sostituita efficacemente da un sistema di controlli pervasivi. Quelli per esempio che in ventimila pagine di intercettazioni, circa 30 volte la Bibbia, antico e nuovo testamento, offrono sulla stampa al pubblico ludibrio vizi privati e pubbliche virtù, prima ancora che si siano laicamente definiti i contorni di colpe, reati e responsabilità.
Vedo tra il razionalismo giacobino di un selvaggio gusto della gogna, come nelle tricoteuses del terrore, e gli umanitari fautori della morte, inflitta nella forma oscenamente ambigua del suicidio assistito, una continuità che va ben oltre le ideologie post-marxiste. Tra le ghigliottine di chi crede ciecamente in qualsiasi forma di giustizia di questo mondo e le siringhe pietose di chi sa con sicurezza quando la vita è o non è tale, non c'è soltanto una fiducia ideologica nella Ragione con la «R» maiuscola e il cappello frigio. Ma anche un certo gusto che ci sia qualcuno magari protetto da una toga che sa sempre meglio di tutti, che cosa è bene e che cosa è male, in questo e nell'altro mondo.
Peccato che nostro Signore abbia affidato questa podestà non ai sapienti e agli uomini di scienza, di potere o di legge. Ma semmai a un regno dei cieli di piccoli e di bambini, oltre che di coloro che sono disposti a dare la propria vita per amore più che per certezza umana. Magari anche per giustizia. Ma per quella che evangelicamente sa che è molto facile trovare la pagliuzza nell'occhio del fratello piuttosto che la trave nel proprio.

E che sa comunque che, così come un occhio malato vede tutto malato, solo la pulizia misericordiosa dello sguardo può consentirci in questa vita di cogliere frammenti di Verità, soprattutto se ci ricorderemo evangelicamente che: «Non giudicate e non sarete giudicati».

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