Macché lavoro, siamo burocrati

"Ha vinto il partito dei fancazzisti". Il commento poco protocollare è dell'interessato, Salvatore Tuccio D'Urso, dirigente generale del dipartimento Energia della Regione siciliana

Macché lavoro, siamo burocrati

«Ha vinto il partito dei fancazzisti». Il commento poco protocollare è dell'interessato, Salvatore Tuccio D'Urso, dirigente generale del dipartimento Energia della Regione siciliana. Un paio di settimane fa l'assemblea regionale doveva rinnovare l'incarico a lui e un altro pugno di funzionari. Ad appoggiarlo il presidente Nello Musumeci, contraria l'opposizione dei Cinque Stelle («Il partito del reddito di cittadinanza e quindi del non lavoro», sibila oggi D'Urso) e del Pd. Ma sul suo nome la maggioranza di centro-destra si è afflosciata, grazie al voto segreto D'Urso è stato impallinato e la conferma non è arrivata. Così, tra pochi giorni, il 31 agosto, andrà in pensione, lasciando l'incarico.

Potrebbe sembrare una storia minore, forse non è così: nelle scorse settimane D'Urso si era permesso di violare un tabù, quello dell'intoccabilità dei burocrati della Regione siciliana. Con un gesto poco meno che rivoluzionario aveva scritto un ordine di servizio richiamando impiegati e dirigenti dalle ferie. Perché, dopo i mesi di lockdown e di telelavoro, vero o presunto, arrivata l'estate e finita la clausura da virus, tutti si erano subito messi in vacanza. Suscitando l'ira del numero uno del settore energia: «Il servizio che dirigo ha da distribuire fondi comunitari per 560 milioni» aveva detto D'Urso. «Che facciamo? Restiamo immobili su una montagna di denaro disponibile? Le aziende aspettano le nostre decisioni». La copertura politica era arrivata dal presidente della Regione, il già citato Musumeci: «L'80% dei dipendenti regionali si gratta la pancia. Bisogna metterli a lavorare».

Parole chiare fino all'evidenza, che hanno suscitato come primo risultato l'indignazione dei sindacati: Cgil, Cisl Uil, insieme alla potente sigla autonoma regionale Sadirs, hanno minacciato D'Urso di denuncia alla Procura della Repubblica per aver messo in pericolo la salute dei dipendenti, citando la necessità di «tutela dell'integrità fisica» dei lavoratori, nonché il pregiudizio per la «sfera psicologica, messa a dura prova in un periodo contrassegnato dall'attuale emergenza sanitaria». «Dopo quattro mesi a casa, parlano di problemi psicologici? Robe da pazzi», si era sfogato ancora D'Urso.

PECORA NERA

L'amministrazione siciliana ha, come noto, numeri e caratteristiche che ne fanno il caso più estremo del disastrato panorama del settore pubblico italiano. Il numero dei dipendenti (13mila senza le partecipate), è da record. L'ultimo contratto integrativo, rinnovato dopo anni, a fine 2019, si applica a oltre 1200 dirigenti. Pur tenendo conto che la Sicilia è una regione a statuto speciale con compiti che altrove spettano allo Stato non si può notare la differenza con le altre realtà regionali: in Lombardia, per esempio, i dirigenti sono in tutto 167. «La cifra di 1200 persone si riferisce ad almeno due o tre anni fa», spiega Giampaolo Simone, segretario del Dirsi, primo sindacato dei dirigenti della Regione siciliana. «Oggi, visti i recenti pensionamenti, siamo poco meno di mille e la differenza si spiega in larga misura con la diversità di competenze, basta guardare i numeri». I numeri, come il Piano triennale per la trasparenza, dicono che a dicembre 2018 su 1200 dirigenti, circa 400 in settori (per esempio Motorizzazione, Sovrintendenze, Forestali) che nel resto d'Italia sono gestiti dall'amministrazione centrale. Rimangono 800 alti funzionari e resta anche la sproporzione con il resto d'Italia.

Ad aumentare i problemi ora è arrivato il lockdown con la bella novità del telelavoro. Peccato che il concetto di lavoro rimanga in molti casi sulla carta (vedi anche l'altro articolo in pagina). Pochi giorni fa, sempre in Sicilia, l'Ance, l'associazione dei costruttori, ha messo il dito nella piaga: «È diventato impossibile avere rapporti con gli uffici pubblici statali o regionali, perché i funzionari o sono in ferie o sono in smart working e non rispondono ai cellulari d'ufficio, anche per diverse ore al giorno».

Si può gestire una Regione o, a maggior ragione, un Paese, con funzionari che non si fanno trovare? La domanda è diventata tanto più d'attualità con l'approvazione del Recovery Plan europeo, che potenzialmente potrebbe orientare verso il nostro Paese oltre 200 miliardi. A condizione, naturalmente, che l'amministrazione pubblica sia in grado di gestirli.

NÉ PREMI NÉ PUNIZIONI

«Di recente è stato approvato l'ultimo provvedimento sulla semplificazione», spiega Andrea Naldini, direttore per le politiche pubbliche della società di consulenza Ismeri Europa. «In tema di pubblica amministrazione, però, la semplicità non basta, ci vuole anche la capacità». La cartina di tornasole di questa capacità sono i fondi europei, dice Naldini. «Anche perché sono complicati, i bandi precisi, i controlli severi». Da questo punto di vista il futuro si annuncia non facile. «Il periodo di programmazione Ue 2014-2020, che si prolunga in realtà di tre anni, fino al 2023, si incrocia con i fondi del periodo 2020-2027. Senza tener conto di Recovery Fund e Transition Fund».

Naldini invita a non generalizzare: «la capacità di incassare i fondi europei varia molto da Regione a Regione e da Ministero a Ministero», spiega. Tra le Regioni, per esempio, l'Emilia Romagna riesce a impegnare il 99% dei fondi europei, la Calabria solo il 41; tra i Ministeri, quello dei Trasporti arriva al 72% il Ministero degli Interni, ultimo in classifica, al 23. «In realtà i fondi europei persi sono relativamente pochi, anche perché l'amministrazione pubblica italiana usa una serie di trucchi per arrivare all'incasso». Uno tra i più diffusi è quello di dirottare i denari europei su progetti già elaborati e già finanziati con altri fondi. «Alla fine si liberano delle risorse, ma si perde anche la capacità propulsiva degli aiuti in arrivo da Bruxelles», dice Naldini.

Dal 2015 per aiutare l'amministrazione pubblica italiana la Ue accompagna gli aiuti con i cosiddetti piani di rafforzamento amministrativo, in gergo Pra. Il principio è chiaro: ti do i soldi ma ti insegno anche a spenderli, riducendo i tempi morti e dandoti degli obiettivi». Il giudizio di Naldini su questa iniziativa è buono: «I piani hanno funzionato. Peccato che non siano stati estesi all'amministrazione nel suo complesso». In più c'è un problema: «Negli uffici che gestiscono i fondi europei si lavora di più e c'è anche un maggior carico di responsabilità. Il risultato è che c'è poco personale perché nessuno vuole andarci. I contratti e i sindacati impediscono di incentivare impiegati e dirigenti a trasferirsi. Del resto non ho mai visto un'amministrazione italiana fare un'analisi dei carichi di lavoro effettivi distribuiti tra i vari uffici».

Tuccio D'Urso, il dirigente della Regione siciliana ormai prossimo alla pensione è più che d'accordo.

«Io ho deciso di promuovere delle persone che se lo meritavano. I sindacati hanno protestato e l'ufficio del personale ha bocciato gli avanzamenti. Tu puoi lavorare o non far nulla. Ma negli uffici pubblici il principio resta uno solo: todos caballeros».

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