«Ci troviamo in una situazione molto delicata, in cui dobbiamo decidere il nostro futuro. Si tratta di un futuro che riguarda noi tutti, come lavoratori e come persone, e che riguarda il nostro Paese, per il ruolo che vuole occupare a livello internazionale». È uno dei passaggi iniziali della lunga lettera che Sergio Marchionne ha inviato ieri, nel giorno del via libera alla produzione della nuova Panda a Pomigliano, a tutti i lavoratori del gruppo Fiat in Italia e apparsa oggi sulla stampa. Una lettera scritta, puntualizza l’Ad, «prima di tutto come persona, con quel bagaglio di esperienze che la vita mi ha portato a fare», e non come «padrone».
«Non nascondiamoci dietro il paravento della crisi. La crisi - scrive Marchionne - ha reso più evidente e, purtroppo, per molte famiglie, anche più drammatica la debolezza della struttura industriale italiana. La cosa peggiore di un sistema industriale, quando non è in grado di competere, è che alla fine sono i lavoratori a pagarne direttamente - e senza colpa - le conseguenze. Quello che noi abbiamo cercato di fare, e stiamo facendo, con il progetto ’Fabbrica Italià è invertire questa tendenza». «Il vero obiettivo del progetto è colmare il divario competitivo che ci separa dagli altri Paesi e portare la Fiat ad un livello di efficienza indispensabile per garantire all’Italia una grande industria dell’auto e a tutti i nostri lavoratori un futuro più sicuro. Non ci sono alternative. Le regole della competizione internazionale non le abbiamo scelte noi e nessuno di noi ha la possibilità di cambiarle, anche se non ci piacciono. L’unica cosa che possiamo scegliere è se stare dentro o fuori dal gioco». «L’accordo che abbiamo raggiunto ha l’unico obiettivo di assicurare alla fabbrica di funzionare al meglio, eliminando una serie interminabile di anomalie che per anni hanno impedito una regolare attività lavorativa». «Non abbiamo intenzione di toccare nessuno dei vostri diritti - assicura l’ad di Fiat - non stiamo violando alcuna legge o tantomeno, come ho sentito dire, addirittura la Costituzione Italiana. È una delle più grandi assurdità che si possa sostenere. Quello che stiamo facendo, semmai, è compiere ogni sforzo possibile per tutelare il lavoro, proprio quel lavoro su cui è fondata la Repubblica Italiana».
«L’altra cosa che mi ha lasciato incredulo è la presunta contrapposizione tra azienda e lavoratori, tra ’padronì e operai, di cui ho sentito parlare spesso in questi mesi. Quando, come adesso, si tratta di costruire insieme il futuro che vogliamo, non può esistere nessuna logica di contrapposizione interna. Questa è una sfida tra noi e il resto del mondo. Ed è una sfida che o si vince tutti insieme oppure tutti insieme si perde». «Quello di cui ora c’è bisogno è un grande sforzo collettivo, una specie di patto sociale per condividere gli impegni, le responsabilità e i sacrifici in vista di un obiettivo che vada al di là della piccola visione personale. Questo è il momento di lasciare da parte gli interessi particolari e di guardare al bene comune, al Paese che vogliamo lasciare in eredità alle prossime generazioni. Questo è il momento di ritrovare una coesione sociale che ci permetta di dare spazio a chi ha il coraggio e la voglia di fare qualcosa di buono».
«Sono convinto - si legge ancora nella lettera - che anche voi, come me, vogliate per i nostri figli e per i nostri nipoti un futuro diverso e migliore. Oggi è una di quelle occasioni che capitano una volta nella vita e che ci offre la possibilità di realizzare questa visione. Cerchiamo di non sprecarla».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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