Marion Jones volta pagina: sogna un futuro nel basket

Tornare alle origini, per ricominciare. A fare sport. Vivere. Sognare. Illudere e illudersi. Senza più barare, però. Marion Jones - ex grande atleta statunitense, velocista e saltatrice in lungo - si sta allenando per provare a costruirsi una seconda vita: non più nell’atletica, ma nel basket. Il suo primo amore: sport che l’ha portata, con la maglia dell’Università di North Carolina - la stessa di Sua Maestà Michael Jordan - a vincere il titolo universitario nel 1994. La Jones era il playmaker titolare di quella squadra e davvero con la palla a spicchi avrebbe potuto sfondare: ci si mise però di mezzo una frattura a un piede poco prima delle Olimpiadi di Atlanta 1996 - cui avrebbe potuto partecipare - e da quel momento decise di dedicarsi solo all'atletica. Con il senno di poi, mai decisione fu più sbagliata. Perché è vero che la signora Jones aveva cominciato a correre velocissima, agile, bella e anche sexy: ma la sua era una vita vissuta barando. Lo si sarebbe scoperto dopo, facendo precipitare l’America sportiva nel dramma e venendo sbattuta in prima pagina, come un vero mostro.
Un mostro che, in pista, aveva poche rivali: campionessa del mondo sui 100 metri e nella staffetta 4x100 ad Atene 1997, imbattuta nella Golden League Iaaf 1998, capace di correre i 100 in 10’’65 e i 200 in 21’’62, di saltare in lungo 7.31. Tutto bello, tutto splendido: con la prospettiva, dopo avere vinto ai Mondiali di Siviglia 1999 un oro (100 metri) e un bronzo (salto in lungo), di stupire tutti ai Giochi di Sydney 2000. Ce la fece, certo che sì: prima e unica nella storia a vincere addirittura cinque medaglie, per un’overdose di gioia e godimento. Tre ori (100, 200 e staffetta 4x400) e due bronzi (lungo e 4x100): si sarebbe scoperto dopo che erano medaglie di latta. Sporche, anzi. Perché a un certo punto la vita le ha chiesto il conto e, dopo averla rispedita a casa senza medaglie dai Giochi di Atene, il mondo le è crollato addosso.
Era il 3 dicembre 2004 quando Victor Conte - il fondatore dell’industria farmaceutica Balco - dichiarò in un’intervista che la Jones aveva fatto uso di cinque differenti sostanze illegali per il miglioramento delle prestazioni sportive: prima, durante e dopo i Giochi di Sydney. Fu quello l’inizio della fine, nonostante i primi tentativi di negare tutto. «Gli steroidi stavano in frigo, vicino alla cena da scaldare, e le siringhe nell’armadio, sotto il bucato - ha dichiarato di recente l’ex velocista Tim Montgomery, secondo marito della Jones dopo che la stessa aveva sposato C.J. Hunter, ex lanciatore del peso lui pure squalificato per doping nel 2000 -. Non ci siamo mai amati davvero, solo che non succede spesso che Oprah Winfrey bussi alla tua porta per dirti “sei tu la star”. Eravamo una coppia da riflettori e abbiamo lasciato che fosse». Il patto con il diavolo si ruppe definitivamente il 5 ottobre 2007 quando, in una giornata da psicosi collettiva e dopo anni di recita, Marion Jones confessò alla US. District Court di New York di aver fatto uso fin dal 1999 di sostanze dopanti, di aver mentito in riferimento al processo Balco e alla frode bancaria in cui era implicato lo stesso Montgomery. Restituite le cinque medaglie, dopo avere supplicato i giudici ad «avere pietà come la può avere un essere umano», il 12 gennaio 2008 accolse vestita di nero la sentenza che la condannava a sei mesi di carcere, due anni di libertà vigilata e 800 ore di servizi sociali.
Oggi, sposata al velocista Obadele Thompson e mamma di tre figli, la 34enne Jones sogna la redenzione facendo canestro: si allena a San Antonio e spera, dopo un’esperienza in Europa di qui a qualche mese, di poter vestire la prossima estate la maglia delle Silver Stars, franchigia della Wnba. «Ho deciso di provarci - ha spiegato la Jones al New York Times -.

Mi darebbe la possibilità di condividere con i giovani il mio messaggio di redenzione, dandomi una seconda possibilità. La gente deve sapere che, pur sbagliando tanto, si può essere ricordati soprattutto per quello che si fa una volta espiata la colpa». Ennesimo bluff o pentimento vero?

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