Ernst Jünger ha dotato i suoi scritti di una potenza simbolica e di una prospettiva mitica senza pari. Nel fermo rifiuto di piegarsi all'ovvio, essi riproducono una mescolanza di eterne contrapposizioni e scuotono ambivalenze e polarità di cui, spesso, facciamo fatica a trovare immediata composizione. Il re nascosto del regno tedesco dello spirito, come ebbe a scrivere Peter de Mendelssohn, fu soldato e anarca, dandy e ribelle, entomologo ma dal profilo oracolare, storico e metafisico, grazie ad un atteggiamento stereoscopico che gli permise di cogliere «le cose nella loro corporeità più segreta e più immobile».
Uno sguardo corale su questa eterna duplicità lo propone l'ultimo numero della rivista semestrale Cultura Tedesca (Mimesis), a cura di Gabriele Guerra e Giulia Iannucci, i cui collaboratori (Marino Freschi, Domenico Conte, Detlev Schöttker, Amelia Valtolina, Mario Bosincu, Giuseppe Raciti, Alexander Pschera, Joana van de Löcht e Stenio Solinas) provano ad inoltrarsi in questa topografia di sentieri problematici ma mai anacronistici. È la parte finale della rivista a riservare la sorpresa perché affidata allo stesso Jünger. In Cane e gatto, nonostante non manchino rapide digressioni nel mondo zoo-antropomorfo e delle culture del tempo, emerge un approccio insolitamente ironico tanto che erroneamente potrebbe essere interpretato come ordinario divertissement. Eppure è un ping-pong di valutazioni con un gioco letterario perfettamente funzionante perché disossato di ogni sovraccarico retorico o lessicale.
E dunque: Richelieu andava pazzo per i gatti, specie se molto piccoli. Bismarck preferiva alani possenti, «mentre è quasi impensabile che Hitler potesse manifestare inclinazioni per i gatti». Il piglio aristocratico è del gatto, nel senso della salvaguardia della propria libertà, della indipendenza e della dignità, perché non tollera nessun genere di comando e si lascia carezzare solo se lo gradisce. Il cane è difensore del suo padrone, soprattutto se appartiene a razze grosse e robuste. Di casa nei castelli e nei palazzi, si accompagna ai potenti e ai ricchi, ai cacciatori, ai cavalieri e ai poliziotti; ma si trova anche agli inferi e negli abissi: «La bibbia non sa dire niente di buono sul suo conto, a parte l'episodio in cui lecca le piaghe di Lazzaro». La vicinanza dei gatti avrebbe effetti benefici sugli uomini con vita quieta e meditativa e che, magari, propendono per le arti «il gatto non disturba pensieri, sogni, fantasie. Anzi, con il suo fascino di sfinge, li favorisce».
I cani sono fedeli. I gatti non si affezionano alle persone e non sono servili. I primi «ci osservano come se potessero indovinare qualcosa nei nostri occhi, come se sperassero in un segno di là dall'immenso abisso»; gli sguardi dei gatti sono invece «più lontani e alieni; i loro occhi sono gialli come l'ambra, blu come lo zaffiro, verdi come il turchese». Il cane si lega all'ancestrale, ai bivacchi, alle scorrerie, alla caccia, e perciò si associa all'homo faber. Il gatto è l'animale del focolare. Da lui non trascende il modo di vita dell'uomo col quale non convive ma coabita. Il cane caccia di giorno, il gatto di notte ed è un solitario. E poi, gli elementi di compatibilità. Col gatto: il Sud, il sogno, il vino, la gaiezza dionisiaca. Col cane: il Nord, il mondo attivo, la melancolia, la birra. Ogni regola subisce però delle eccezioni. Hitler aveva un pastore ma «detestava anche la birra. Il solo odore di gente che aveva bevuto birra lo disgustava». Ma a sovvertire facili correlazioni cita molti altri leader e personalità.
Arrivato alla fine, è del tutto evidente che Jünger sappia condurre il gioco sul filo della erudita allegoria e della metafora senza mai arrischiare il grottesco, ma solo fino a quando decide di rendere inoperante questa divertente dicotomia, e dunque preludendo ad una ripartenza che metta di nuovo al centro simboli e metafore. Cosicché, la classificazione della coppia cane-gatto approda «solo a distinzioni approssimative.
Questa unità è andata perduta da molto tempo; al riguardo, uno degli ultimi indizi consiste nella rimozione di piante e animali da targhe e bandiere, come del resto la scomparsa del giglio e dell'aquila dagli stemmi e dalle insegne militari».
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