Meno capelli, più saggezza: (contro)lode delle teste "nude"

Sinesio, vescovo e filosofo, diede una sforbiciata ai luoghi comuni sui pelati

Meno capelli, più saggezza: (contro)lode delle teste "nude"
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Fino a qualche anno fa - quando le cliniche tricologiche non erano ancora all'orizzonte - girava una battutaccia di quart'ordine che suonava più o meno così: «L'unica cosa che può fermare la caduta dei capelli è il pavimento», cosicché l'impossibilità di risolvere i tormenti piliferi con cui tutti finiamo inevitabilmente per confrontarci, deragliava spesso nell'accondiscendenza verso intrugli magici reclamizzati da qualche furbo piazzista televisivo.

È una questione antica quanto il mondo. Ne scrive Sinesio, nato a Cirene intorno al 370 dopo Cristo. Nell'intento di confutare Dione di Prusa e il suo Elogio della chioma («un'opera così brillante scrive Sinesio - che un calvo non può fare a meno di arrossire di fronte a tanta eloquenza») tenta infatti l'inosabile mettendo in piedi un contro-libello dal titolo ancor più definitivo: Elogio della calvizie, ora riproposto dalle edizioni Luni con curatela di Anna Romano (pagg. 128, euro 18).

Autore prolifico, Sinesio aveva frequentato ad Alessandria la scuola neoplatonica di Ipazia (definita «madre, sorella, maestra») e nel 411 era diventato vescovo di Tolemaide, ricevendo solo in quel momento il battesimo. Elemento non di second'ordine dal momento che questa sorta di dualità dove il paganesimo continua ad incrociare il cristianesimo, la filosofia si sovrappone alle malizie dialettiche e il surreale si accompagna al concreto, accompagna buona parte della sua produzione.

L'Elogio emerge a prima vista come un divertissement letterario. Grazie a vivaci paradossi, metafore più che ardite e perizia retorica con dotte incursioni nella filosofia e nella poesia, Sinesio muove una serie di argomentazioni contro la pretesa corrispondenza tra capelli e intelligenza che ritiene elementi incompatibili in una stessa persona. Ma, appunto, non è solo una prova di abilità retorica e di capacità filosofica rispetto a tesi difficili da sostenere. Sossio Giametta, che cura la prefazione di questa nuova edizione, lo mette addirittura al pari dell'Elogio della follia di Erasmo e l'Utopia di Tommaso Moro e in quel punto dove la civiltà greca ha raggiunto vertici di originalità, autonomia, libertà di spirito e maturità.

Dietro quel velo di ragionamento surreale si nasconde infatti una satira contro gli intellettuali del suo tempo che «armano i loro discorsi da competizione così come con i rostri si armano le triremi», i costumi corrotti, le élite del potere religioso e politico, e soprattutto i filosofi che non ricercano la vera sapienza ma ammiccano ad un pubblico «che mira non alla verità, ma all'apparenza»; al contempo, indicando come riferimento positivo quella ampia «platea di calvi» che va da Socrate a Diogene.

Dunque, tutto un gioco che oscilla tra suggestione e significato metaforico. Per Sinesio, la testa priva di capelli andrebbe ostentata con orgoglio perché indicherebbe saggezza, integrità morale e salute fisica, mentre nell'età ellenistica il colto giocherebbe sull'apparenza esteriore. Musonio Rufo ed Epitteto invitavano ad aver cura di barba e capelli perché segno di virilità. Apollonio, non senza sarcasmo, addita la chioma fluente dei filosofi per contrasto alla capigliatura curata dei sofisti: «Il farsi banditore di se stesso scrive Sinesio - cercando con ogni mezzo di mettersi in mostra è proprio non della filosofia, ma della sofistica».

Barba, capelli e vestiti rappresentano un sistema di segni a cui il vescovo-filosofo addita perfino nessi morali: «Omero descrive il seduttore come attaccato allo splendore della pettinatura, nell'idea che la sua chioma ben acconciata serva a corrompere le donne. È un adultero, il non plus ultra degli adulteri».

La chioma è però decisiva nel richiamo sessuale e come prodigioso potere vitalizzante e di consenso. Cesare ricorda lo stesso Giametta avrebbe dato un buon pezzo della sua gloria in cambio di una bella chioma e gli esempi dei capelli cotonati di Trump, arruffati di Boris Johnson o della bandana di Berlusconi sono ancora sotto i nostri occhi. Al contrario, Sinesio elenca una serie impressionante di casi - tratti dal mondo animale e umano per dimostrare che «dove c'è pelo non c'è senno», in tal modo segnalando ogni volta caratteristiche negative.

In realtà, siamo senz'altro di fronte ad un prodigio di retorica, ad un'opera di ingegnosità dialettica che naviga tra

citazioni erudite e una mai sopita vena polemica con l'idea di demolire ciò che appare impossibile demolire della società del tempo, ma ad esser sinceri proprio sulla supremazia intrinseca della calvizie non convince del tutto.

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