"La mia banda suona il pop": revival anni '80 tra trash e volgarità

Defunti i cine-panettoni, Brizzi ne firma un colpo di coda in salsa carnevalesca. Recitazione al minimo sindacale, regia sciatta e parolacce fanno sì che il divertimento resti un miraggio

"La mia banda suona il pop": revival anni '80 tra trash e volgarità

I rimandi ai gloriosi anni Ottanta sono la sola parte piacevole dello sgangherato "La mia banda suona il pop", nuovo film di Fausto Brizzi. Il resto è qualcosa per appassionati dell'ultra-trash.

E' difficile, infatti, immaginare un'opera più allo sbando, devota all'inconcludente ricerca di un equilibrio tra commedia nostalgica, cine-panettone fuori stagione e film di rapina.

L'incipit vede Franco Masiero (Diego Abatantuono), manager di cantanti e gruppi storici italiani, decidere di organizzare la reunion di una band famosa negli anni 80, i Popcorn. L'incentivo all'operazione nostalgia è il lauto compenso promesso da Olga (Natasha Stefanenko), donna di fiducia di un magnate russo che sogna di avere il gruppo al proprio compleanno. Il tempo però non è stato galantuomo con gli artisti in questione, che non sono riusciti a capitalizzare sul proprio breve successo: c'è chi suona per strada (Paolo Rossi), chi è dedito all'alcool (Angela Finocchiaro), chi canta ai matrimoni di criminali (Christian De Sica) e infine chi, un tempo ribelle, è diventato un placido commesso di ferramenta (Massimo Ghini). Alla deriva dal punto di vista finanziario, ai quattro non resta che accettare l'invito e tentare di trasformarsi, complici capelli cotonati e abiti dai lustrini multicolor, nella versione attempata di quelli che furono. Una volta in Russia scoprono che la loro esibizione costituirebbe il diversivo durante una rapina ai danni del milionario padrone di casa e, improvvisatisi criminali, pianificano di battere sul tempo i ladri da cui sono stati ingaggiati.

Fonte d'ispirazione estetica (e non solo) del gruppo protagonista è un vasto assortimento di vecchie glorie della canzone italiana tra cui i Cugini di Campagna, Albano e Romina (la componente femminile della band canta come lei) e, soprattutto, I Ricchi e Poveri.

La versione parodistica del pop d’antan funziona grazie alle due hit immaginarie, "Tremendamente tu" e "Semplicemente complicata", composte dal maestro Bruno Zambrini già artefice di alcuni successi di Gianni Morandi e Patty Pravo. Innegabile che un tormentone come "Tu turuturù" si piazzi in testa e ci rimanga dopo i titoli di coda.

La presenza di feticci anni '80 (l'auto De Lorean di "Ritorno al futuro", i vestiti di Raffaella Carrà, il walkman ecc.) non basta però a fare di "La mia banda suona il pop" un revival generazionale, perché resta evidente si tratti dell'ennesimo camuffamento di una formula oramai superata, quella della commedia sguaiata e greve. E' vero che gran parte del pubblico al cinema cerca disimpegno o una via di fuga dalla grigia realtà, ma anche i guilty pleasure si sono evoluti e la volgarità fine a se stessa, oggi, fa morire il sorriso sul nascere.

Tra outfit pacchiani, fogne nauseabonde e diamanti trafugati, la seconda parte del film, quella in cui si punta sull'azione e sulla spy-story, è la peggiore.

Non ha senso dare alle sale il terzo titolo in un anno come nel caso di Brizzi, quando la mancanza di cura che si ha nel realizzarlo (basti pensare a come il product placement sia sfacciato e invasivo) è tanto conclamata.

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