«La mia medicina, fra tradizione e futuro»

«Alcuni dottori continuano a essere scettici, ma ora c’è una maggiore apertura verso le novità»

«La mia medicina, fra tradizione e futuro»

È nato in questi giorni un nuovo progetto di Medicina integrata che fonde i saperi della tradizione cinese con quelli occidentali. La fusione è frutto di una lunga cooperazione scientifica tra Italia e Cina che si è concretizzata al Policlinico San Matteo di Pavia, eccellenza della trapiantologia, e non solo, che attira studenti e medici da tutto il mondo. Promotore è il professor Pan Peter Hsien-I, medico chirurgo (vedi box), che da oltre trent’anni vive a Milano, dove attualmente dirige un rinomato centro di Medicina tradizionale cinese. Quando gli chiediamo lumi sul suo nome risponde divertito: «Lo so, è un nome curioso. Da studente mi è capitato pure che lo cancellassero dai registri di ammissione agli esami pensando che fosse uno scherzo».
Professore, perché ha deciso di esercitare in Italia?
«Ai miei tempi i giovani cinesi andavano a studiare negli Stati Uniti. Io scelsi l’Italia perché avevo studiato latino e greco. E poi in campo medico e chirurgico l’Italia non è inferiore a nessuno. Fui il primo studente cinese laureato in Medicina in Italia. Ricordo ancora come ottenni la cittadinanza italiana in seguito all’interessamento del presidente Pertini».
In cosa consiste il nuovo progetto?
«Abbiamo collaudato una struttura di Medicina integrata per svolgere attività di riabilitazione post-infarto e post-ictus: quest’ultimo solo in Lombardia colpisce oltre 10mila persone. Inoltre effettuiamo terapie coadiuvanti per la chemioterapia e la terapia radiante e trattamenti per pazienti lungodegenti disabili o parzialmente disabili. L’agopuntura previene gli effetti collaterali provocati dalle terapie più aggressive. Il 98 per cento dei pazienti si riprende già dopo tre mesi e a quel punto la malattia progredisce molto lentamente. Il protocollo di trattamento consiste in sei metodi: agopuntura, fitoterapia, massoterapia e ginnastica medica più ossigenoterapia e farmacoterapia occidentale».
C’è però dello scetticismo riguardo all’agopuntura...
«Una certa resistenza è normale da parte della classe medica più conservatrice. Oggi però c’è una maggiore apertura. Certo, bisogna diffidare dagli improvvisatori. In Cina, per praticare l’agopuntura, ci vogliono sei anni di specializzazione dopo la laurea in Medicina. Dal 1983 collaboro con il professor Mario Viganò, titolare della cattedra di cardiochirurgia presso l'università degli studi di Pavia. Insieme abbiamo portato a termine con successo numerosi interventi di cardiochirurgia, come bypass o sostituzioni valvolari, grazie all’anestesia praticata con agopuntura. È una tecnica che permette la riduzione dei tempi di degenza in terapia intensiva, risparmiando ai pazienti l’azione tossica degli anestetici o dei farmaci antidolorifici».


È vero che durante un intervento con l'agopuntura il paziente non sente dolore?
«Certo, ci sono molte testimonianze in proposito. Ci sono pazienti che collaborano con il medico, che seguono le fasi dell’operazione. Altri, compatibilmente con l’intervento subito, se ne vanno a casa sulle proprie gambe».

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