nostro inviato a Cannes
Mick Jagger non si discute. Nessun altro può arrivare a 67 anni a dire: «Una volta eravamo giovani, belli e stupidi. Adesso siamo solo stupidi» senza far scendere una lacrimuccia nostalgica. Lui invece fa solo sorridere e ci credo: è il re del rock, la voce dei Rolling Stones e un pezzo del Novecento è tutto suo, altro che nostalgia. Al Theàtre Croisette arriva puntualissimo in jeans e brutta giacca grigia doppio petto, zero segni di lifting e quindi faccia martoriata dalla vita, due labbra che quando sorridono ti aspetti ancora che dicano «it’s only rock’n’roll but I like it», è solo rock‘n’ roll ma a me piace così.
Invece presentano un’operazione colossale: il film documentario Stones in Exile, il libro Exile on Main Street di Bill Janovitz (edito in Italia da il Saggiatore) e la riedizione del disco Exile on Main Street del 1972, quello di Tumbling Dice e Happy, uno dei più belli della storia che ora esce con dieci pezzi inediti ampiamente restaurati. Un bon bon per gli ultras e un documento per chi ha voglia di capire com’era la Dolce vita al tempo del rock perché è stato registrato nella Villa Nellcote affittata da Keith Richards a pochi chilometri da qui, a Villefranche. In poche parole, un ex quartier generale della Gestapo che per sei mesi del 1971 divenne un girone infernale di droga e dissoluzione e tremenda ispirazione, mentre gli Stones incontravano Marc Chagall e Gram Parsons e «Nixon era alla Casa Bianca e Merckx vinceva il Tour de France». E lui, che adesso è già ultra nonno ma proprio in quei mesi sposò Bianca, riassume tutto in una sola parola: «Meraviglioso».
Ma scusi, mister Jagger, non è un po’ nostalgico?
«Quello è stato un periodo meraviglioso per noi, ma è ormai tempo passato, passato per forza».
Però non è strano che dopo così tanto tempo abbiate deciso di pubblicare un film su quel periodo?
«Ci è sembrata una buona idea perché in fondo è materiale che non si è mai visto, così lontano nel tempo che neanche noi ce lo ricordavamo».
Ma ce n’era davvero bisogno?
«Non siamo più nell’epoca in cui i nonni si siedono in poltrona e ricordano i vecchi tempi. Ora i vecchi tempi bisogna vederli».
Nelle immagini siete strafatti ed esaltati. Pensavate di sostituire i Beatles che si erano appena sciolti?
«Ma no. In realtà loro si erano sciolti l’anno prima ma non salivano su di un palco da anni, credo dal 1966. A parte naturalmente alcune occasioni speciali. Noi invece avevamo appena fatto due tour mondiali. Non so che cosa pensassimo in quel momento. Ma forse eravamo tristi per la loro fine e basta».
In «Stones in Exile» sembrate tutto tranne che tristi.
«Sì, diciamo che non è un documentario raccomandato alle famiglie. C’era così tanta gente intorno a noi in quel periodo. Nelle immagini ho visto un bambino biondo e non sapevo neanche chi fosse. Ho detto: dobbiamo trovarlo».
Nel film il chitarrista Keith Richards dice: «Mick è rock, io sono roll».
«In realtà, lui sarà anche roll. Ma io scrivevo i pezzi».
Lui si distruggeva di eroina. E tra voi girava ogni tipo di droga.
«In effetti è così. Ma l’unica cosa che posso dire è che non mi sembra una buona idea fumare e poi cantare».
Nelle dieci nuove canzoni lei ha aggiunto qualche parte vocale.
«Abbiamo trovato queste canzoni di cui ci eravamo dimenticati. Lì per lì avrei detto di no all’idea di pubblicarle. Ma poi ho scoperto che c’era del buono ed è stato divertente lavorarci».
Mick Jagger, com’è la musica di oggi?
«Come al solito. Ci sono grandi canzoni e canzoni schifose. Nessuna differenza rispetto a quello che capita sempre».
Magari le torna la voglia di recitare, non lo fa da un bel po’. Il suo film preferito?
«Adesso mi viene in mente Apocalypse Now!, è uscito proprio nello stesso anno di Exile on Main Street».
Sui Rolling Stones hanno girato film sia Godard che due anni fa Scorsese con «Shine a light».
«Il film di Godard, One plus One era bello. Ma vorrei capire di che cosa parlasse» (ride).
Il suo preferito?
«Let’s get lost di Bruce Webber sulla vita di Chet Baker. Quelli sono film».
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