A Milano impazza la febbre del musical

Da "Aladin" a "Jesus Christ Superstar" a "Flashdance" sulle orme di Broadway. Direttori e produttori raccontano un successo annunciato

A Milano impazza la febbre del musical

Il musical è spesso, an­che se non solo, ottimismo su palcoscenico: ecco perché è facile vedere nell'invasione di titoli sulla piazza milanese (e nazionale) un sorta di con­trocanto alle malinconie d'autunno. Cadranno pure le foglie ingiallite, ma al con­tempo piovono, già da diver­se settimane, musical colora­tissimi. Insomma, la cosid­detta «febbre del musical» ­che per anni è stata invocata su Milano, Roma e altre città italiane, come Trieste - ora è molto più di una febbre: si tratta di un vero e proprio be­nefico virus che, forse, farà storcere il naso ai cultori del­la prosa col sopracciglio alza­to, ma diverte il pubblico. Un pubblico, questa la buona no­­tizia, che anno dopo anno si è fatto prima incuriosito, poi esigente e informato. Non sa­rà il West End londinese, non è nemmeno Broadway, ma a casa nostra - Milano in parti­colare - col musical non si scherza più. E gli specialisti del genere lo sanno. E ne so­no ben felici. Ad aprire le dan­ze, è proprio il caso di dirlo, è stato Mamma Mia !, il nuovo titolo a lunga tenitura prodot­to dalla Stage Entertainment: al Teatro Nazionale dal 24 set­tembre scorso, il musical sul­le canzoni degli Abba è desti­nato a marciare fino alle por­te dell'estate, ripetendo la pa­rabola (felicissima: più di 300.000 spettatori) che fu de La Bella e la Bestia nella scor­sa stagione. Il musical disne­yano si è spostato ora a Ro­ma, al Teatro Brancaccio, do­ve promette di bissare il suc­cesso meneghino. « Mamma mia! - spiega l'ad di Stage En­tertainment Barbara Salabè ­sta mantenendo le promes­se. E come La Bella e la Bestia si sta rivelando un titolo capa­ce di portare a teatro un pub­blico nuovo, non abituato al palcoscenico. Questo a lun­go andare porterà, e sta già portando, effetti benefici al mercato del musical, e un ve­ro e proprio cambiamento culturale. Certo, il pubblico non è ancora pronto per ope­r­e drammatiche come Les Mi­serables , è ancora presto, ma ci arriveremo». Tra i titoli di culto appena passati da Mila­no, al Teatro della Luna, la versione italiana di Cats diret­ta da Saverio Marconi, a detta di molti una messa in scena che nulla ha da invidiare a quelle anglosassoni. Martedì scorso al Teatro Nuovo ha de­buttato Aladin , il nuovo musi­ca­l di Stefano D'Orazio su mu­siche degli ex compagni Po­oh, con Manuel Frattini pro­tagonista. Lo stesso Frattini che, nei panni del burattino più famoso del mondo, ha re­centemente trionfato alla Kaye Playhouse di New York, nei giorni del Columbus Day, con Pinocchio , allestimento di Saverio Marconi e della sua Compagnia della Rancia. Era dal 1964, dai tempi di Ru­gantino , che un musical ita­liano non andava all'assalto dell'America. «Siamo cresciu­ti noi e il pubblico - racconta lo stesso Saverio Marconi -Tanto che oggi io preferirei non chiamarlo musical, ma teatro musicale. In Italia quando si parla di musical si pensa a spettacoli con poco spessore. Il teatro musicale è invece racconto, drammatur­gia, scenografie di qualità, cast poliedrici nelle varie di­scipline: recitazione, danza e canto. Quel che bisogna evita­re, in Italia, è trasformare que­sto genere teatrale in una ro­ba da museo per pochi affilia­ti, qualcosa simile alla lirica». Proseguendo con i titoli in ar­rivo a Milano, dal 10 dicem­bre al Teatro della Luna arri­va Flashdance , nuova produ­zione (questa volta itineran­te) della Stage Entertain­ment. Dal 16 novembre allo Smeraldo torna (per il qua­rantennale dell'opera e i quindici anni di questa ver­sione) il Jesus Christ Super­star di Massimo Romeo Pipa­ro, uno degli spettacoli mi­gliori di sempre del musical in Italia. Col nuovo anno arri­veranno titoli come Alice nel Paese delle Meraviglie e Hap­py Days. Un regista come Fa­brizio Angelini (impegnato a Milano con Aladin e a Roma con La Bella e la Bestia ) cerca di spiegare il mutamento av­venuto in Italia negli ultimi anni: «Ho cominciato a fare questo mestiere nel 1990, pri­ma come interprete, poi co­me coreografo e regista­spie­ga - e se penso ai casting di allora... Le discipline erano ri­gorosamente divise, chi dan­zava non era un buon cantan­te e così via, il musical era un mestiere che non aveva tradi­zione. Oggi la qualità è au­mentata esponenzialmente, gli specialisti si recano più spesso all'estero per aggior­narsi. Lo stesso pubblico è maturato. Manca solo un pas­so, quello verso le opere inte­ramente cantante. A parte JesusChrist Superstar non si è ancora pronti per opere drammatiche interamente cantate, come il webberiano Sunset Boulevard. Per quest' ultimo ho a lungo corteggiato Loretta Goggi nel ruolo di Norma Desmond, ma lei stes­sa pensa che il pubblico italia­no non sia ancora pronto».

A proposito di Jesus, il regista Piparo ricorda: «Prima della nostra versione, in Italia la tra­dizione era quella della com­media musicale alla Garinei e Giovannini: in 15 anni è cambiato tutto in meglio, ec­co perché ho riportato Jesus in scena. Grazie anche a noi, che nel 2000 portammo addi­­rittura in Italia il Giuda del film Carl Anderson, il West End non è più su Marte».

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