Eserciti, treni e città: il grande racconto dei mondi in miniatura

Alla Libreria Verso evento-conversazione sul nuovo saggio di Garfield sui modellini

Eserciti, treni e città: il grande racconto dei mondi in miniatura

Quando, il 31 marzo del 1889, in una Parigi in festa si inaugurava la Torre Eiffel, tutti sapevano di trovarsi di fronte all'edificio più imponente del pianeta. Ben pochi, però, si resero conto che proprio quel giorno segnò una data epocale anche per gli appassionati dell'infinitamente piccolo. Che si portarono a casa, a fine giornata, un modellino in miniatura della leggendaria costruzione. Fra loro addirittura lo scià di Persia, che si concesse un bastone da passeggio con una torre sull'impugnatura e due dozzine di «eiffeline» in ferro per il suo harem.

Era nato il mercato dei souvenir, ma era accaduta una cosa ancor più importante: nella società di massa iniziava a farsi strada l'idea di potersi «mettere in tasca» interi pezzi di mondo, dai monumenti alle locomotive, dagli eserciti alle navi. E poi bambole, mobili, abitazioni, interi quartieri e città. Insomma, tutti pazzi per le piccole dimensioni. O meglio, proporzioni, come si affretta a precisare Simon Garfield nel suo suggestivo libro «In miniatura. Perché le cose piccole illuminano il mondo», appena uscito per Johan & Levi, che verrà presentato oggi alle ore 19 presso la Libreria Verso (corso di Porta Ticinese, 40), in una conversazione a tre voci con Stefano Salis, Giulio Iacchetti e Giacomo Papi. «È più probabile farsi un'idea dell'universo creando oggetti infinitesimali che nel rifare il cielo intero», diceva lo scultore Alberto Giacometti, facendosi interprete di una sapienza antica che, come comprendiamo sfogliando le pagine del volume, affonda le sue radici addirittura nell'Egitto dei faraoni. Fu un pioniere italiano dell'archeologia, Giovan Battista Belzoni, ad accorgersi che nella tomba di Seti I c'erano diverse statuette in terracotta turchese finemente cesellate alte una ventina di centimetri: erano gli ushabti, che sostituivano, in versione miniaturizzata e simbolizzata, i servitori del sovrano. Il piccolo stupisce, impressiona, meraviglia: come accadde nel 1925, in Missouri, quando gli alunni delle scuole di Springfield diedero vita a «Tiny town», un'intera città in versione lillipuziana composta da 1.200 edifici e dotata di tutti i moderni comfort. Il modellismo era diventato un hobby. Anzi, l' «hobby perfetto» secondo Philip «Phil» Warren, grossista in pensione di Blandford Forum, nel Dorset, che ha passato una vita a costruire navi da guerra coi fiammiferi (e dire che non ha mai fumato in vita sua!). E non è solo una questione di ingannare il tempo. Il fatto è che gli oggetti rimpiccioliti hanno qualità rivelatrici: fin da bambini maneggiamo macchinine, omini, mattoncini, veri e propri universi in miniatura dove, finalmente, accade ciò che desideriamo. Voglia di dominio? Senso del controllo e del possesso? Forse. Fatto sta che la tentazione è irresistibile persino per quelli che i loro regni «a grandezza naturale» li hanno già: un secolo fa l'architetto britannico Edwin Lutyens progettò maniacalmente la casa delle bambole per la regina Maria, con deliziosi oggettini firmati dai più rinomati artigiani del tempo. Nemmeno la narrativa è andata esente dall'ossessione del piccolissimo: senza scomodare il mito di Gulliver, cinque anni fa sbancò le librerie di mezzo mondo il fortunato romanzo «Il miniaturista», di Jessie Burton. Il cinema seguì a ruota: che dire di «Downsizing» (2017), pellicola distopica con un Matt Damon alto 12 centimetri?

Aneddoto dopo aneddoto, curiosità dopo curiosità, si svela il disegno ambizioso di Garfield: farci

riflettere sul rapporto simbiotico che lega la miniatura all'arte e, in ultimo, all'indagine sul mondo: perché vedere le cose in piccolo finisce, paradossalmente, per amplificare la percezione di ciò che credevamo di conoscere.

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