L'anatomopatologo che venerdì sera ha esaminato il cadavere di Maurizio Pozzi - il 69enne milanese morto dopo un'operazione d'urgenza all'ospedale Niguarda senza mai riprendere conoscenza - aveva espresso subito fortissime perplessità sull'eventualità di un malore. «Un incidente domestico, una caduta qualsiasi, non può rompere la teca cranica in questo modo e in così tanti punti: bisognerebbe pensare che la testa di un uomo possa rimbalzare come una palla su un biliardo e sbattere dappertutto. No, questa è senz'altro una morte provocata, causata da terzi».
Che, tradotto, significa senz'altro omicidio. E non solo per esperti inquirenti come gli investigatori della sezione «omicidi» della squadra mobile, che avevano intuito di trovarsi davanti a un assassinio: davvero troppo il sangue trovato accanto alla testa martoriata di Maurizio Pozzi, 69 anni, rinvenuto a terra, ferito, nel suo appartamento di via Gian Rinaldo Carli, nel cuore di Affori, dalla moglie Angela, quando è rientrata a casa intorno alle 19.30. La donna chiama subito il 118 parlando di «malore» e la polizia, così, non viene avvertita subito dagli operatori delle ambulanze bensì in un secondo tempo, quando a chiamare in questura è il posto di guardia del Niguarda. Cioè nel momento in cui, ancor prima del disperato tentativo di salvare la vita al poveruomo con un intervento chirurgico d'urgenza, i medici capiscono subito che quel cranio sfondato (l'autopsia rivelerà che Pozzi è stato colpito alla testa otto volte, due o tre delle quali con grandissima forza, ndr) con l'accidentalità non ha nulla a che fare.
I risultati dell'esame autoptico, diffusi ieri mattina dal dirigente della squadra mobile Alessandro Giuliano, spiegano che l'agguato risale alle 19 di venerdì. Pozzi se n'era andato a casa poco prima della chiusura del negozio di scarpe che gestisce, sempre ad Affori ma in via Alessandro Zanoli, insieme alla figlia Simona e alla moglie. La donna lo aveva raggiunto circa un'ora dopo nel loro appartamento dove lo ha trovato sanguinante e già privo di conoscenza. Sentita dagli investigatori, una vicina di casa (abita sul medesimo pianerottolo, ndr) ha spiegato di essere salita in ascensore con la vittima intorno alle 18.45. La donna ha tenuto a specificare di non aver notato alcun segno di malessere in Pozzi e, in seguito, di non aver sentito urla o lamenti di alcun genere provenire dalla sua abitazione.
Ecco: la casa, che spesso «parla» dopo un fatto di sangue. Invece all'interno non solo non è stata trovata l'arma utilizzata per colpire il povero Maurizio Pozzi, ma l'alloggio - esaminato dalla polizia Scientifica - è stata trovato in perfetto ordine, la porta d'ingresso era chiusa, anche se non dall'interno e la chiave era in casa, ma non nella toppa. Inoltre, anche se la signora Pozzi comprensibilmente non ha ancora avuto modo di fare un vero e proprio inventario, da una prima analisi sembra che dall'appartamento non manchi nulla di reale valore. Quindi - almeno dagli elementi in possesso degli inquirenti in questo momento - non dovrebbe trattarsi di un'aggressione a scopo di rapina.
Che cosa può essere accaduto da far esplodere tanta violenza nell'assassino (o negli assassini) di Maurizio Pozzi? Quel che è certo, per il momento, è che chi ha ucciso ha
avuto davvero poco tempo per farlo e che è stato sorpreso in casa dalla vittima o è stato lo stesso Pozzi a farlo entrare. Un elemento inquietante quest'ultimo. Perché se fosse vero indicherebbe che i due si conoscevano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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