Libri venduti per strada Ecco chi sono gli strilloni e chi guadagna con loro

Libri venduti per strada Ecco chi sono gli strilloni e chi guadagna con loro

Ci interrompono la corsa a ogni piè sospinto. Alcuni si sforzano di essere simpatici, altri meno. Qualcuno è anche brusco. Ci affiancano, cercano di metterci in mano un libro che quasi sempre racconta storie di Africa e immigrazione e non ci mollano più. Difficile passare oltre. Alzi la mano chi ha comprato o letto fino in fondo uno dei loro libretti di «letteratura migrante»? Ma anche per loro questo non è uno dei momenti migliori. Bersagliati dalla crisi, come e più di altri, stanno spostando l'attività di vendita in provincia, piazza tradizionalmente più incline di una grande città all'accoglienza. Ma chi sono questi venditori di libri che affollano le nostre vie? Chi li arma di libri? In nove casi su dieci vengono dal Senegal, perché in questo Paese i giornali sono ancora venduti per strada, un po’ come facevano i nostri «strilloni» di fine '800. Dunque questo lavoro è considerato normale, non «poco dignitoso» come in Europa. Scomparse poi formule per approcciare il cliente più spicce, e tristemente caratterizzanti come facevano i vucumprà, il venditore su strada di libri, se parla l'italiano, è oggi più raffinato e usa un «caro, cara, come va?», mentre allunga libri. Che a un occhio distratto potrebbero sembrare tutti uguali, come chi li vende. E invece no.
A Milano «Terre di Mezzo» e «Gruppo Solidarietà Come» sono due delle realtà editoriali più accreditate per la realizzazione di un progetto, caratterizzato da un duplice, nobile intento: dare lavoro agli immigrati e diffondere la conoscenza di un’altra cultura. «Non c’era la letteratura migrante fino a che non siamo arrivati noi, alla metà degli anni Novanta- spiega Mauro Baffico, fondatore del Gruppo Solidarietà Come- Le due Case realizzano comunque prodotti diversi». Mentre Edizioni dell'Arco, la divisione editoriale del Gruppo Solidarietà Come, si dedica ai narratori africani, Terre di mezzo edita guide pratiche al consumo alternativo (chi non ricorda il Pappamondo?) e diari. Ma il modus operandi è simile e fa perno su una redazione a tutti gli effetti. Il meccanismo di vendita è impeccabile sulla carta: «Tutti i nostri ragazzi sono in regola con il permesso di soggiorno e inquadrati con varie formule contrattuali- spiega Mauro Baffico- Sono “soci lavoratori”, o “titolari di licenza ambulante”, o “occasionali”. Guadagnano il 50% del prezzo di copertina (6,90 euro, ndr), secondo un accordo, detto “conto deposito”, per cui solo in caso di vendita il ragazzo è tenuto a versarci la cifra. I loro contributi, però, sono a carico della cooperativa» Rischi? «Due. Il primo, per noi, che il venditore, specialmente se occasionale, se ne vada con l'incasso: ma lavorano qui persone anche da dieci anni, che non ci hanno mai riservato sorprese. Negli anni si sono alternati fino a 1200 extracomunitari, di cui ciascuno con una famiglia allargata a carico di circa 20 persone. Dunque sono più o meno 24mila le persone sfamate da questa attività». «Il rischio per noi- continua Baffico- Che la gente venga infastidita dall'insistenza: gli africani più giovani, come del resto anche i nostri, hanno fretta di farcela, sono ben più aggressivi degli loro avi. Inoltre, li lasciamo liberi nelle politiche di approccio e di vendita, senza direttive, non vengono suddivisi in zone e non c’è una rete con un direttore, come accade per gli agenti tradizionali. Ci riserviamo solo riprese verbali: “Non capite che state rompendo?”. Ma è il mercato a educarli: se sbagliano non vendono e devono cambiare tecnica». I forzati del sorriso, ben lungi dall'essere neofiti stregati da occidente, sono venditori professionisti, quelli che praticavano anche in patria. I più scostanti o malinconici sono, invece, per lo più disoccupati, magari neolicenziati in Brianza, ex operai che non hanno quasi mai venduto e lo fanno malvolentieri. Ma chi è che compra? Universitari, associazioni di volontariato, pendolari… Circa 3mila i lettori a Milano. Ma oggi con la crisi c'è un crollo delle vendite. Se le case editrici, allora, si rifanno, come nel caso di Edizioni dell'Arco, con attività parallele, come i video sociali o la web tv, agli africani che succede? «Arrivano con il passaparola, poi spediscono quasi tutti i guadagni in patria, dove un tempo costruivano una casa, ora piccole imprese. Quando a Milano tira aria brutta, prima si spostano a Piacenza, a Pavia o in luoghi di villeggiatura, dove la gente, tra cui soprattutto gli anziani, ha la stessa loro percezione del tempo, pazienza nel dialogo e disponibilità all'acquisto. Altrimenti, depressi, tornano in casa».

Ma a noi, nel complesso, che portano? «I contributi li lasciano al nostro Stato; poi anche loro, poco, ma consumano; creano un indotto, come questa casa editrice, che dà lavoro a nostri connazionali; infine, fondano piccole imprese a casa loro: l’economia in Senegal è per questo in leggera ascesa, tanto da attirare anche nostri connazionali. E poi non tolgono lavoro a nessuno: chi ci andrebbe, a Milano, su e giù per la strada a vendere libri che parlano di immigrazione?».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica