«Non cedere alla paura» dice il cardinale Angelo Scola dal pulpito del Duomo. Parla dell'immigrazione e se la forma fa venire in mente Giovanni Paolo II, con il suo celeberrimo «non abbiate paura», la sostanza richiama papa Francesco e il suo invito ad «accogliere senza paure ma con prudenza». Perché non aver paura, come si coglie anche dalle parole dell'arcivescovo, non significa essere incoscienti.
È una paura «comprensibile», che si può superare solo rimanendo uniti, cercando di far crescere amicizia e amore, anche se «l'Europa è andata involvendosi». Serve un'«apertura all'universalità che nel profondo non viene fuori, nonostante le stregonerie e i new media - è ancora il commento dopo la celebrazione -. In questi giorni emerge la divisione, la violenza nelle zone di guerra, ma anche una chiusura dei nostri cuori». Fino all'appello: «Verità, verità, non post verità, come è di moda adesso».
Il tema dei migranti e anche quello della lotta al terrorismo sono caldissimi nell'omelia: «L'immigrazione, lo scambio tra culture e società, con l'incremento dei rapporti interculturali e interreligiosi, hanno di fatto messo in moto un processo inevitabile e di lunga durata che ci vede coinvolti». Aggiunge Scola: «L'apertura universale dell'Epifania è un invito rivolto a noi tutti ad affrontare questo processo di storica portata senza cedere alla comprensibile paura e tanto meno all'insidiosa tentazione intellettualistica che si appaga di scaltre analisi. Né bastano i pur necessari provvedimenti legislativi».
L'arcivescovo sottolinea come il tema riguardi le scelte personali e quotidiane di ciascuno: «Ci è chiesto di agire in unità con tutta la famiglia umana e le sue diverse articolazioni, secondo l'ideale dell'amore e di un'autentica amicizia civica. Lo dobbiamo alle vittime degli efferati episodi terroristici ed ai loro cari. Ce lo chiedono i non pochi martiri e la grande massa degli esclusi, scartati da un sistema sociale dominante spesso iniquo».
Parla molto dei Magi, il cardinale Scola, in questa Messa dell'Epifania. Racconta il viaggio intrapreso da questi misteriosi sapienti partiti dal lontano Oriente per conoscere il re dei Giudei, il Cristo. «Camminano tra uomini stanchi, che hanno soffocato la loro attesa nella smania di conservare il loro potere, Erode, o il loro sapere anche su Dio, i capi dei sacerdoti e gli scribi, e sono considerati dei folli, come ha genialmente colto Eliot nella sua poesia Il viaggio dei Magi: Preferimmo alla fine viaggiare di notte, dormendo a tratti, con le voci che cantavano agli orecchi, dicendo che questo era tutto follia. Invece la loro è la posizione più ragionevole».
È quest'incontro di culture, allora come oggi in bilico con lo scontro, a rivelare un significato più profondo: «Cade la barriera del particolarismo e si afferma l'universalità della salvezza, offerta a tutti, senza escludere nessuno. Dio si coinvolge con ogni uomo.
Come ci ha ricordato il Santo Padre qualche giorno fa, il presepe ci invita ad abbandonare la logica delle eccezioni per gli uni ed esclusioni per gli altri». E rieccoci all'inizio, all'invito forte dell'arcivescovo a «non cedere alla paura».
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