Terzo settore, a Milano una fabbrica di poltrone

L'ente che nasce per volere del governo a forte rischio lottizzazione

di Carlo Maria Lomartire

Finalmente anche Milano avrà il suo micro-Iri, la sua finanziaria di Stato piccola piccolissima che comunque qualche nuova poltrona e poltroncine e strapuntini metterà a disposizione di quella parte del ceto politico-burocratico milanese che teme di restare in piedi quando a Palazzo Marino ci sarà il cambio della guardia. Si tratta della Fondazione Italia Sociale, introdotta con un emendamento voluto dal consulente economico di Palazzo Chigi, il superfinanziere Vincenzo Manes, nella legge che regola il terzo settore.

In sostanza questa fondazione, che nasce con un stanziamento iniziale dello Stato di un milione di euro e poi conta su contributi privati, dovrebbe raccogliere e distribuire finanziamenti alle associazioni e organizzazioni no-profit, regolando il traffico delle risorse disponibili. La sede di questa fondazione che, appunto, è stata soprannominata «Iri del terzo settore», sarà a Milano perché, a spiegato il governo, la metropoli lombarda è ritenuta più adeguata «sotto il profilo della capacità di catalizzare le risorse private derivanti da erogazioni liberali per la presenza di un mondo economico-finanziario più strutturato». Avrebbe dovuto aggiungere, molto più opportunamente, che Milano è di fatto la capitale del terzo settore, giacché qui si concentra circa il 20% delle vere Onlus, escludendo cioè le tante fasulle e pretestuose come certe associazioni pseudo-sportive e pseudo-culturali o addirittura para-criminali come qualche sedicente «cooperativa sociale» emersa dal letamaio di Mafia Capitale.

Comunque la legge è stata approvata al Senato qualche giorno fa e deve tornare alla Camera per l'approvazione di un paio di emendamenti secondari; ma sta già provocando malumori e inquietudini negli ambienti più accorti del terzo settore (quello buono). Ed è proprio la novità della Fondazione Italia Sociale la più contestata. Sarà perché mette i brividi già solo evocare il fantasma dell'Iri, colosso di Stato della Prima Repubblica, padre di tutte le lottizzazioni politiche e delle conseguenti pratiche corruttive.

Insomma, Milano è destinata ad avere il suo piccolo poltronifcio finanziario di Stato, seppure a fin di bene? E chi si piazzerà nella nascente Fondazione? Ad esempio si sentono fare nomi di componenti della squadra di Giuliano Pisapia, in procinto di lasciare da Palazzo Marino, come quello del capo di gabinetto del sindaco Maurizio Baruffi: non è l'unico e per il momento nessuna conferma è possibile. Inevitabilmente dal «chi» deriva il «come»: come saranno distribuite le risorse disponibili, con quali criteri, come evitare, ad esempio, criteri politici? Siamo sicuri, cioè, che l'orientamento politico dato alla Fondazione dalle persone messe a dirigerla non condizionerà le scelte? Sono tutte domande lecite e inevitabili che stanno mettendo in agitazione il mondo del no-profit.

Così come più che una domanda è una certezza da mettere in conto - per effetto della nuova legge e soprattutto della normativa che riguarderà la Fondazione - un ulteriore aggravio di carico burocratico per le Onlus e le organizzazioni no-profit: già oggi per loro è durissima la vita quando si rivolgono agli uffici pubblici se si tratta di parlare ordinaria amministrazione, spazi disponibili, programmazione di eventi. Cosa accadrà quando si andrà a parlare di soldi, di procedure per ottenere finanziamenti, per accedere alla cassa della mitica Fondazione? Sarà un inferno, probabilmente.

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