"Trent'anni di colori...": Ora i centri sociali avanzano pretese pure sui muri

Dai centri social si alzano proteste per la riqualificazione di Milano, che cerca di ripulire le proprie periferie dal degrado a cui anche loro hanno contribuito

"Trent'anni di colori...": Ora i centri sociali avanzano pretese pure sui muri

Se non fosse imbarazzante, quanto accade a Milano farebbe addirittura ridere. Che i centri sociali abbiano occupato illecitamente e senza titolo alcuni spazi della città è noto a tutti, così come è noto che l'amministrazione a guida Sala li tratti con i guanti bianchi. D'altronde rappresentano un importante bacino di elettori da non disperdere. Tuttavia, che nella loro posizione abbiano anche l'ardire di rivendicare alcuni disegni pastrocchiati su dei muri, chiedendo che non vengano rimossi per lasciare che la città si evolva, pare davvero troppo. Eppure è accaduto questo, quando il Leoncavallo si è lamentato della distruzione di un rudere che nei prossimi mesi lascerà spazio a un edificio moderno, funzionale e, soprattutto, regolare. "Anni e anni (dal 1994) di colori e una sola mattina per tirarli giù", si lamentano ora.

"I graffiti che dal 1994 colorano l'intero isolato tra via Watteau, via Lucini e via De Marchi, stanno venendo rasi al suolo per dare spazio all'ennesimo edificio residenziale nella zona, in nome del miraggio di una Milano verticale e di conseguenza 'superiore' alle necessità delle sue comunità", scrivono sul loro profilo Facebook. Al Leoncavallo proprio non va giù che ci possa essere qualcuno che vuole dare alla città un'immagine moderna e di civiltà, eliminando gli scheletri che degradano le sue prime periferie in nome di costruzioni pronte a ospitare spazi per il lavoro e per l'abitazione nel pieno della legalità. "Il Leoncavallo si trova esattamente tra Nolo, la Maggiolina e Bicocca: da una parte rimbombano continui slogan di cultura, riqualificazione, decoro, e tanti 'evviva la gentrificazione!'; dall'altra costruiscono palazzi di extralusso, futuri appartamenti prevalentemente vuoti su cui si fa profitto. Per costruire, si abbatte", si legge ancora. Parole forse spinte dalla paura che, proprio la riqualificazione civile di questa zona di Milano, possa portare all'allontamanto del centro sociale.

Il post continua con slogan ideologici e, ormai, lontani dal mondo reale e da una città che vuole realmente ripartire e tornare a essere un faro nell'economia italiana ed europea. "Milano nel suo sviluppo da città 'cosmopolita' distrugge e dimentica la sua storia, la resetta per iniziare altre narrazioni costruite sul marketing: le vittime non sono solo i muri ma anche chi crede entusiasta alle sue promesse, ai consumatori d'immagini", scrivono verso la fine del loro post, convinti che il Leoncavallo sia parte della storia di questa città e, soprattutto, che lo siano dei disegni fatti con la bomboletta sui muri di una costruzione dismessa.

Davanti al controsenso illogico della rivendicazione del centro sociale è intervenuta anche Silvia Sardone, consigliere comunale della Lega: "I muri di via Lucini saranno abbattuti per la costruzione di nuove unità immobiliari che a differenza del Leonka sono regolari e verranno realizzate da un imprenditore che paga le tasse, crea posti di lavoro e con le opere realizzate a scomputo oneri contribuirà a riqualificare la zona degradata dalla stesso centro sociale abusivo". La presunzione mostrata dal Leoncavallo in questa circostanza si accoda ai tanti altri episodi simili e, continua la Sardone, "in attesa che, prima o poi, siano costretti a lasciare l’edificio che occupano senza titolo, Milano ringrazia questo e tutti i costruttori che si impegnano per rendere migliori i nostri quartieri".

Un impegno opposto rispetto a quello dei centri sociali che vivono al di là del recinto della legge senza che nessuno intervenga concretamente per risanare la situazione.

"Periodicamente un ufficiale giudiziario si presenta in via Watteau per notificare lo sfratto, un esercizio dovuto ma inutile perché i compagni restano sempre al loro posto. Magari aspettano che Sala li regolarizzi in qualche modo", ha concluso Silvia Sardone.

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