Mission impossible: il G8 vuol far rifiorire la primavera araba

L’idea è di Barack Obama, ma Nicolas Sarkozy e David Cameron l’hanno già sottoscritta. E così oggi all’apertura del G-8 di Deauville gli otto grandi del mondo incominceranno a far i conti con un nuovo “piano Marshall” per il Medio Oriente. L’idea non sarebbe proprio fuori luogo. L’elegante cittadina della Normandia - a due passi dalle spiagge del D Day - sembrerebbe il posto migliore per rinverdire la generosità del «dopo seconda guerra mondiale» quando l’America finanziò la rinascita degli sconfitti d’Europa. Ma c’è una differenza. Sostanziale. Nel 1946 Italia e Germania sognavano la democrazia e guardavano all’America con speranza e riconoscenza. In questo 2011 Maghreb e Penisola Araba guardano con sempre maggior sospetto all’America. E hanno già archiviato gli ideali e i sogni di una primavera araba appassita prematuramente. Per capirlo basta guardare quanto succede da Tunisi al Cairo, da Bengasi a Sanaa.
Tunisia, i militari in allarme
Le elezioni del prossimo 24 giugno rischiano di premiare il partito islamista di Ennahda. I suoi leader sono appena rientrati dall’esilio, ma la formazione è più compatta e meglio organizzata rispetto ai protagonisti riformisti o liberali della rivolta contro Ben Alì. In queste condizioni i militari potrebbero non riconsegnare il potere al Parlamento e continuare a governare. Esattamente come in Algeria nel 1991 quando il rifiuto dei militari di riconoscere la vittoria fondamentalista generò una sanguinosa guerra civile costata 200mila morti. Per evitare di ripetere gli errori del passato il G8 dovrebbe prima identificare un gruppo di esponenti riformisti capaci sia di contrastare l’egemonia islamica, sia di soddisfare i generali.
Egitto, l’ambiguità dei generali
A quasi 4 mesi dalla destituzione di Hosni Mubarak il Paese resta in uno stato di confusione che impedisce la ripresa del turismo e delle attività economiche. Quel che più fa paura è l’archiviazione dei principi di democrazia e integrazione sociale affermatisi nei giorni di Piazza Tahrir. Varie formazioni islamiste alimentano un clima di odio anticristiano suggellato da attacchi a chiese e quartieri di una minoranza copta che rappresenta il 10 per cento della popolazione. L’atteggiamento dei generali, tra cui emergono a sorpresa molti sostenitori dei Fratelli Musulmani, è assai ambiguo. Il Consiglio Supremo delle Forze armate ha avallato all’insaputa degli Usa la riconciliazione tra i palestinesi di Hamas e Fatah vanificando i tentativi della Casa Bianca di rilanciare il negoziato di pace. Il governo provvisorio lavora per riaprire il valico di Rafah abolendo qualsiasi controllo sui carichi di armi diretti a Gaza. Sembra imminente, inoltre, la ripresa delle relazioni con l’Iran congelate da 30 e passa anni. Aiutando l’Egitto prima di aver capito chi lo governa il G8 rischia di finanziare chi sogna l’abolizione del trattato di pace con Israele, il ritorno ad uno stato di conflittualità permanente, la ripresa delle relazioni con Teheran e la segregazione della comunità copta.
Libia, la rivoluzione fantasma
Il peccato originale di chi, consapevolmente o meno, spacciò una rivolta regionale con una sollevazione di carattere democratico ha generato una guerra che rischia di portare alla divisione o alla disintegrazione del Paese. Aiutando e finanziando esclusivamente i ribelli di Bengasi il G8 rischia di rendere più difficile l’emergere a Tripoli di una fazione pronta a rompere con Gheddafi. I ribelli di Bengasi sembrano, intanto, aver scordato gli ideali della loro primavera. A Bengasi e in altre zone “liberate” si registrano esecuzioni sommarie e rapimenti di ex esponenti del regime prelevati da misteriosi squadroni della morte.
Yemen, nuovo santuario per Al Qaida
La rivolta guidata dallo sceicco Sadiq al-Ahmar, leader tribale dell'opposizione islamista, ha poco a che fare con i modelli ideali che il “piano Marshall” di Deauville vorrebbe favorire. La caduta di Alì Abdallah Saleh, uno dei più longevi autocrati del Medio Oriente, rischia di favorire una situazione di caos tribale e trasformare lo Yemen in un nuovo santuario di Al Qaida.

E l’America e il mondo rischiano di ritrovarsi a fare i conti con una nuova manifestazione del terrore islamico guidata e ispirata non più da Bin Laden, ma da Anwar al-Awlaki, lo sceicco di origini americane rifugiatosi proprio nello Yemen.

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