MODELLO INFRANTO

MilanoQuando si è vista comparire quell’uomo mascherato con una pistola in mano, la donna ha subito capito che non era uno scherzo e si è attaccata al clacson. L’assassino non si è spaventato e ha tirato due volte il grilletto, ma i proiettili non sono usciti. Ha scarellato, lasciando così alla vittima il tempo di strappargli l’arma di mano. E a quel punto ha estratto un coltello e l’ha affondato nel collo della donna, che si è accasciata sul sedile. Quindi la fuga mentre l’intero condominio si illuminava, svegliato dal trambusto.
È morta poi tra le braccia dei soccorritori Franca Lojacono, 61 anni, sorpresa nel box di casa, in via dei Mariani 40 a Desio, grosso centro a un ventina chilometri a nord di Milano. Una «signora nessuno» se non fosse per il consuocero Palo Vivacqua, 52 anni, assassinato a novembre, e il genero, Antonio, arrestato insieme ai fratelli per una serie di reati fiscali. Paolo Vivacqua, 52 anni, ufficialmente si occupava di intermediazione finanziaria e rottamazione e trasporto di auto. Nato a Ravanusa, in provincia di Agrigento, inizia come muratore e carrozziere per poi trasferirsi a Desio dove «fa i soldi». Porta la residenza in Svizzera, si compra un villa con piscina, la Ferrari e un elicottero, ma fa anche tanta beneficenza: spedisce aiuti in Camerum, ristruttura a suo spese il cimitero di Ravanusa. Poi, probabilmente, un passo falso e il 14 novembre del 2011 viene freddato a colpi di 7.65 nel suo ufficio a Desio. Un delitto mai risolto, anche se in aprile la Guardia di finanza scopre un giro di false fatture per centinaia di milioni e arresta i figli di Vivacqua: Daniele, Gaetano e Antonio, quest’ultimo sposato con Valentina, figlia di Santo Cummaudo e Franca Lojacono e padre di quattro figli.
Santo e Franca si stringono subito intorno alla loro ragazza e anche sabato sera, come sempre, passano a trovarla, anche se verso mezzanotte la madre, un po’ stanca, decide di precedere il marito a casa. Con la sua Peugeot arriva in via dei Mariani, apre il cancello con il telecomando, quindi il box sempre elettronicamente, entra con l’auto e spegne il motore. E spunta il killer. Qualcuno riferirà poi ai carabinieri di aver visto un uomo con un «mefisto» sul volto. Franca Lojacono si attacca al clacson, mentre l’assassino preme due volte il grilletto, per due volte si libera dei proiettili inesplosi, trovati poi dai carabinieri, ma si fa strappare l’arma dalle mani dalla donna che la nasconde sotto il sedile. Il killer non si dà per vinto, afferra un coltello, o un taglierino, e colpisce la vittima alla gola. I vicini svegliati dal trambusto chiamano i carabinieri che trovano la donna ancora viva la estraggono dall’abitacolo, l’affidano al 118 ma dopo pochi istanti cessa di vivere.
Le indagini ovviamente ruotano in tutte le direzioni, compresa la rapina finita male, ma ovviamente non possono ignorare il legame di parentela con Vivacqua. Anche perché in entrambi gli agguati viene usata una 7.65, un calibro molto diffuso in Italia, anche se saranno gli esami balistici a stabilire se si tratta della stessa arma.

A una prima verifica, la pistola recuperata è una vecchia Beretta neppure registrata, segno che è stata venduta all’estero o che di essa, proprio per i tanti anni passati, si è persa ogni traccia. A prima vista, non proprio un’arma da killer professionista.

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