"Sconcertanti omissioni". E' questa l'accusa principale contenuta nell'esposto presentato da Fininvest al ministero della Giustizia e al procuratore generale presso la corte di Cassazione per documentare un "fatto gravissimo" relativo alla sentenza sul cosidetto Lodo Mondadori. Sentenza che il 9 luglio scorso ha condannato l'azienda al pagamento di 564 milioni di euro alla Cir di Carlo De Benedetti.
"L’esposto evidenzia come, nella sentenza d’appello, una pronuncia della Cassazione determinante ai fini del verdetto venga riportata con il taglio di un passaggio decisivo e la mancata citazione di altri passaggi, altrettanto decisivi", spiega una nota. E il risultato di ciò, continua la nota, è "che si fa dire alla Cassazione l’esatto contrario di quanto invece la Cassazione stessa chiaramente afferma nella sua sentenza".
Inoltre, secondo l'esposto di Marina Berlusconi, "in questo modo viene superato un limite giuridico altrimenti insuperabile", creando "letteralmente un precedente che non esiste, perché quello esistente è un precedente di segno contrario che avrebbe comportato una decisione opposta, favorevole a Fininvest".
Nella sentenza di luglio la Corte milanese, ritenendo che il verdetto della Corte d’Appello di Roma del 1991 - che aveva annullato il Lodo dando ragione a Fininvest - fosse frutto di corruzione, ha stabilito che poteva e doveva rifare la causa del 1991 e rideciderla, e ha dato ragione a Cir. "Il codice di procedura civile - continua la nota - dispone esplicitamente, invece, che per ottenere l’annullamento e l’eventuale sostituzione di un verdetto già passato in giudicato bisogna proporre azione di revocazione. Azione che Cir non aveva proposto".
Nella sentenza di luglio la Corte d’Appello di Milano ha però dichiarato di volersi attenere al principio affermato dalla Cassazione penale in una sua decisione secondo cui, in caso di corruzione del giudice, la sentenza è inesistente e qualsiasi giudice civile può e deve rifare la causa e rideciderla.
"Ciò che è sconcertante è che la Corte di Milano non solo ha omesso di citare i numerosi passi nei quali, inequivocabilmente, la Cassazione afferma il contrario di quanto le si fa dire - si legge ancora nella nota - ma ha anche trascritto un ampio stralcio della decisione della Corte suprema sostituendo con puntini di sospensione un inciso nel quale ci si riferiva in modo esplicito ancora una volta alla revocazione.
"E' un fatto la cui gravità è fuori discussione", ha commentato Marina Berlusconi. "Di fronte a un'enormità del genere, la presentazione dell'esposto, in cui si sottopone quanto è successo alla valutazione delle autorità competenti, è un atto dovuto. Questo naturalmente al di là del ricorso per Cassazione, che seguirà la sua strada".
"Abbiamo sempre saputo - aggiunge la presidente della Fininvest - di essere dalla parte del giusto, di aver operato nella più assoluta correttezza e di averlo documentato in modo inconfutabile. Nonostante ciò, abbiamo subito, per decisione prima del Tribunale e poi della Corte d'Appello di Milano, un esproprio di dimensioni spropositate a favore del gruppo De Benedetti".
"Ma non saremmo mai arrivati a pensare che una condanna a pagare 564 milioni di euro potesse fondarsi addirittura sul 'taglio' materiale di una frase e su altre incredibili omissioni nel riportare una sentenza della Cassazione".
Secondo Cir e i suoi legali, Vincenzo Roppo ed Elisabetta Rubini, l’esposto presentanto da Fininvest "è un tentativo pretestuoso e infondato di recuperare una situazione processuale fortemente compromessa" e "rischia di
apparire intimidatorio". Anziché affidare, "secondo la normale e corretta fisiologia processuale", le proprie ragioni al giudizio della Cassazione, "Fininvest lancia un improprio atto d’accusa contro i giudici".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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