Bannon ora rischia: chi lo ha finanziato sta con Trump

Steve Bannon "scomunicato" dalla sua principale finanziatrice. Rebekah Mercer ha espresso vicinanza a Trump, abbandonando lo stratega

Bannon ora rischia: chi lo ha finanziato sta con Trump

Steve Bannon avrebbe perso il sostegno del suo principale finanziatore. Dopo le anticipazioni sulle dichiarazioni contenute nel libro di Michael Wolff, quelle nelle quali l'ex Chief strategist della Casa Bianca ha parlato di un incontro "sovversivo" e "antipatriottico" tra il figlio di Donald Trump e un'avvocatessa russa, Natalia Veselnitskaya, un summit che sarebbe avvenuto nel bel mezzo della campagna elettorale, infatti, chi finanzia il leader dell'Alt Right ha espresso vicinanza al presidente degli Stati Uniti d'America, abbandonand politicamente Bannon. Rebekah Mercer, che è sì un socio di minoranza di Breitbart, ma un socio molto influente, ha rilasciato queste dichiarazioni al Washington Post: "Io e la mia famiglia non comunichiamo con Steve Bannon da molti mesi e non abbiamo fornito supporto finanziario alla sua agenda politica né sosteniamo le sue recenti azioni e dichiarazioni". Parole forti, che metterebbero in discussione il sostegno economico che la Mercer e la sua famiglia sarebbero soliti dispensare a Bannon e alle sue attività. "Sostengo il presidente Trump e la piattaforma sulla base della quale è stato eletto", ha chiosato infine la Mercer. Il "voltafaccia" di Bannon, insomma, non è piaciuto a colei che per Bloomberg è la "main financial baker", cioè la principale finanziatrice di Bannon e della sua piattaforma politica.

Secondo quanto si apprende sempre da Bloomberg, infatti, Rebekah Mercer è stata "vitale" tanto per Donald Trump quanto per l'ex stratega della campagna elettorale repubblicana. Durante gli anni precedenti all'elezione del tycoon, Steve Bannon sarebbe diventato uno "stretto consigliere politico della famiglia" e avrebbe indirizzato i finanziamenti dei Mercer verso attività contigue alla sua "ideologia politica". I Mercer avrebbero inizialmente sostenuto Breitbart, per poi finanziare, nel 2015, un libro intitolato "Clinton Cash": una sorta di preludio all'etichetta "Crooked Hillary", la stessa che ha accompagnato Trump e Bannon per tutta la durata delle elezioni presidenziali. Sempre i Mercer, poi, avrebbero investito anche in Cambridge Analytica, una società che si occupa di big data e che è stata utilizzata nella fase finale della campaign da Donald Trump al fine di "colpire i suoi avversari". E la Mercer, ancora, avrebbe donato 41,5 milioni di dollari ai repubblicani, tra comitati e super PAC, "inclusi $ 2 milioni per Make America Number 1, che ha sostenuto Trump nelle elezioni generali, secondo i documenti della Federal Election Commission", ha sottolineato Bloomberg. Di nuovo, la Mercer avrebbe finanziato con 449.000 dollari "Trump Victory", cioè un comitato di raccolta fondi instituito per la vittoria del Tycoon. Una finanziatrice importante, insomma, che ha preso le parti del presidente degli Stati Uniti in quest'ultima vicenda.

Dopo la sconfitta in Alabama, le dichiarazioni di Bannon rischiano di segnarne la fine dal punto di vista politico. Trump, intanto, si sta difendendo e dopo aver detto che Bannon "ha perso la testa", ha fatto inviare dai suoi avvocati una lettera all'ex chief strategist nella quale sosterrebbe che il suo ex braccio destro abbia violato un accordo teso alla non divulgazione di fatti e notizie riguardanti il presidente, i membri della sua famiglia e la società. Per Trump, Bannon avrebbe "svelato" informazioni confidenziali a Michael Wolff sino ad arrivare, in alcuni casi, alla diffamazione e alla denigrazione. Per Breitbart, però, la battaglia di The Donald è concentrata soprattutto nei confronti del libro di Wolff. Dall'evolversi di questa polemica può dipendere il futuro programmatico del trumpismo.

Scaricare per la seconda volta Bannon e magari rifiutare il suo sostegno allontanandosi definitivamente dall'Alt Right, del resto, significherebbe scegliere di abbracciare la linea tradizionale del partito repubblicano. La fine politica dell'ex stratega, insomma, può coadiuvare la normalizzazione dei rapporti tra Trump e il partito che lo sostiene in Parlamento.

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