Beirut, un mosaico di identità a un passo dal caos siriano

Il quartiere sciita che guarda a Damasco, ma anche la capitale più esplosiva della regione. Una tolleranza costruita su un passato complesso

Beirut, un mosaico di identità a un passo dal caos siriano

Dalla terra si innalza un groviglio di santi complesso come il tronco di un rampicante. Le foglie delle piante incoronano statue della Madonna, di San Giorgio, e di Gesù Cristo tutte ammucchiate una sopra l'altra. Ogni edicola è diversa e ha un lato folle e popolare allo stesso tempo. I palazzi anni sessanta non sono diversi da quelli che a Napoli definirebbero “sgarrupati”, anche le edicole religiose ricordano molto quelle partenopee. Il quartiere armeno di Beirut è pieno di rumori, macchine, motorini che sfrecciano da tutti i lati. Le palazzine non sono belle, ma hanno un qualcosa di umano, molti fiori e rampicanti crescono a ridosso dei muri. È un trionfo mediterraneo. Il cristianesimo armeno ha plasmato questo luogo inesorabilmente, dovunque appaiono crocifissi che pendono dalle strade, spuntano fuori nei condomini, sui tetti delle macchine che passano. Un trionfo ipnotico di madonne gigantesche che compaiono nei luoghi più improbabili.

Pochi metri più in là il mondo cambia completamente: antiche case borghesi libanesi dallo stile quasi veneziano, sopravvissute miracolosamente agli avidi immobiliaristi che radono al suolo gli edifici storici non crollati durante la guerra civile, si mischiano a condomini modernissimi disegnati da giovani architetti. Il quartiere più radical chic di Beirut, Gemayze, sempre a maggioranza cristiana anche se di varie fedi, ospita gallerie d'arte, negozi di spezie o saponi, ristoranti e locali alla moda. Tra i grattacieli ogni tanto spuntano architetture antiche che si inerpicano sulla montagna. Vecchie scale e passaggi celati da autostrade sopraelevate e palazzoni di tutti i tipi, nascondono esplosioni di piante e pietre centenarie.

È tra queste vie che i giovani libanesi esprimono la loro esplosiva vitalità. Qui si gustano i vini della valle della Bekaa, qui ci sono i locali più radical chic, qui si trovano i ristoranti migliori. Questa è la Beirut che ricorda maggiormente Parigi.

L'eccesso e la voglia di vivere sono due concetti chiave per capire Beirut e il Libano. Dopo anni di guerra civile, di radicalismi religiosi e di giudizi del mondo, i libanesi sembrano inconsciamente voler dimenticare tutto e dimostrare che sono l'esatto opposto di quello che molti pensano. Le ferite non sono state del tutto superate, il Paese spesso non ha un governo perché paralizzato da settarismi di tutti i tipi, nelle scuole non si insegna la storia dell'ultimo secolo per evitare di scegliere la versione dei fatti di una comunità, ma nessuno vuole la guerra di nuovo.

Il patto implicito sembra essere quello di non scegliere una storia ufficiale, ma di utilizzare l'economia e l'edonismo come collante sociale. I tacchi a spillo, le scollature, i muscoli e il machismo qui sono esagerati. L'estetica trionfa nelle strade, nei bar, nella sfrenata vita notturna.

La città è anche una delle più gay friendly del Medio Oriente con locali lgbt talmente alla moda e di design che anche la comunità omosessuale milanese alla fine capitolerebbe ammettendo che la loro sofisticata città non ha locali cosi raffinati. Il Libano pur avendo una legislazione ancora in parte punitiva nei confronti dei gay è l'unico paese arabo ad avere associazioni come Helem, che difendono apertamente i diritti Lgbt. I ragazzi qui sono molto emancipati e vivono la loro sessualità apertamente grazie a una società più tollerante di quello che si pensi.

Gemayze termina dove inizia down town. Il centro storico è stato completamente ricostruito da Solidere, società immobiliare fondata dall'ex primo ministro, assassinato probabilmente dai siriani, Rafik Hariri, insieme ad altri costruttori. Il centro è una specie di Montecarlo dove Ferrari e macchine di lusso scorrazzano tra i negozi di moda. Qui i palazzi antichi sono stati restaurati perfettamente se non addirittura costruiti falsi. Agli edifici in stile franco-libanese si alternano architetture avveniristiche dei migliori architetti internazionali. Nello splendido nuovo Suq, esempio molto interessante di architettura all'avanguardia che ha saputo mantenere uno stile arabo, migliaia di persone corrono per comprare le migliori marche internazionali. A pochi metri una sala multi cinema futurista è diventata meta non solamente degli amanti del cinema, ma anche degli appassionati di effetti speciali un po' trash, ma divertenti.

A breve distanza Rafik Hariri, con fondi sauditi ha fatto costruire un'immensa moschea sulla piazza dei Martiri della guerra civile, provocando, in risposta, l'innalzamento del campanile della vicina chiesa maronita di San Giorgio. Chiunque prenda una foto o guardi nella piazza dovrà vedere un campanile alto quanto il minareto.

Di fronte al centro la città si sta estendendo sul mare. In attesa che la terra e le rocce posate laddove prima vi erano i pesci si stabilizzino e vi si possano costruire sopra avveniristici edifici, il comune ha permesso che alcune discoteche estive e luoghi per concerti si spostassero nell'area. Il Libano è un paese fertile per la club culture. I locali in generale sono estremamente scenografici e la musica è la stessa che si ascolta in tutto il mondo. Si può trovare dalla commerciale alla tecno più pesante. Spesso la selezione per entrare è piuttosto rigida e molta gente rimane fuori.

Sopra il centro storico, in direzione sud si sviluppa il quartiere a maggioranza musulmana di Hamra. Questo zona non è dissimile da Gemayze anche qui trionfano l'edonismo, i tacchi a spillo, i muscoli e la vita notturna più sfrenata. Qui in città tra borghesia musulmana e cristiana sotto sotto non vi è poi tutta questa differenza.

In quest'area sorge l'Università Americana Di Beirut, la struttura universitaria più importante della città. Immersa in uno scenografico parco a picco sul mare e tra architetture ottocentesche e novecentesche monumentali, è qui che studiano i ricchi del paese. Il rapporto dei libanesi con l'America è complesso. Se da una parte spesso non la si ama e la si incolpa dei complotti più fantasiosi, dall'altra la si copia e ammira. Molti libanesi a casa non parlano arabo, ma l'inglese o il francese, vecchia lingua coloniale. L'arabo per alcuni è una seconda lingua.

In città esiste anche un forte quartiere sciita fortemente controllato da Hezbollah. Qui l'edonismo non trionfa e si guarda più a Teheran e Damasco che a Parigi. L'organizzazione sciita è rimasta l'unico gruppo armato del paese se si esclude l'esercito nazionale.

I rapporti tra le varie fedi nel paese rimangono complessi così come complessa è l'anima di questa città.

Al tramonto alla Zaytouna bay, marina piena di grattacieli, un gruppo di libanesi, è seduto su un muretto. Due guardano il sole scomparire tra gli yacht di lusso e il mare, l'altro la luna sorgere dietro le montagne ancora innevate.

Dietro a quelle vette poetiche e antiche, lontane anni luce dallo scintillio dei grattacieli e delle barche di lusso, si cela la campagna libanese e la martoriata Siria dove lo stato islamico non permette di giocare a calcio, butta i gay dalle torri ancora vivi, schiavizza le minoranze religiose e distrugge gli strumenti musicali. Schizofrenia di un Medio Oriente in cerca della propria anima perduta.

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