Il coraggio di fare da battistrada

Trent'anni di un'italiana in Cina testimone passo dopo passo del potente sviluppo della Cina e dell'amicizia con l'Italia. E intanto la città di Wenzhou...

Il coraggio di fare da battistrada

Italia e Cina sono legate da rapporti millenari di stima e di rispetto reciproco. Già duemila anni fa, i cinesi ritenevano
che l’Impero Romano, il maggiore consumatore della loro seta, fosse una civiltà avanzata, da cui l’aspirazione a instaurare rapporti diretti. Dal canto loro, gli antichi romani sapevano che la seta dei loro abiti proveniva da "Seres", il paese della seta, raffigurato all'estremo oriente del mondo nella mappa di Tolomeo, risalente al 150 d.C. Un migliaio di anni dopo, il viaggio di Marco Polo e le successive missioni di Matteo Ricci e Giuseppe Castiglione in Cina e, per parte cinese, la visita, poco conosciuta, di Fan Shouyi in Italia nel 1709, per volere dell'imperatore Kangxi, si possono considerare pietre miliari del processo di comprensione reciproca. In tempi recenti, con l'allacciamento nel 1970 delle relazioni diplomatiche, Italia e Cina hanno iniziato un cammino di cooperazione e di sostegno reciproco evidente nei momento di maggiore necessità: nel maggio del 2008, quando Wenchuan, nella provincia del Sichuan, è stata devastata da un violento sisma, una squadra di medici italiani ha subito raggiunto la zona, prestando soccorso ai sopravvissuti.

In risposta, quando nel marzo scorso l’Italia è stata colpita dall’epidemia di Covid-19, il Sichuan si è subito attivato, inviando nel paese una squadra di esperti, che hanno messo a disposizione del personale sanitario italiano i risultati della loro esperienza. Dal canto suo, la città di Wenzhou, da cui proviene la maggioranza dei cinesi residenti in Italia, ha escogitato ogni mezzo per fare arrivare nel paese respiratori, mascherine e altri materiali sanitari, di cui si aveva urgente bisogno. L’aiuto reciproco ha incrementato la comprensione tra i due popoli, stimolata dai progressi dell’insegnamento della lingua italiana in Cina e della lingua cinese in Italia, e incoraggiata dalla comparsa di associazioni come l’ANGI, Associazione Nuova Generazione Italo-Cinese, nata a Torino nel 2007, volta all’integrazione nella società italiana della comunità cinese e all’inserimento nella società cinese del personale italiano.

La mia esperienza personale pluritrentennale in Cina mi ha permesso di verificare passo dopo passo il processo di sviluppo dei rapporti tra i due paesi. Gennaio 1987, Beijing: al mio arrivo dall’Italia, dopo un viaggio di tre giorni, con soste in due paesi diversi, e quattro anni di studi di lingua cinese alle spalle, scopro una città grigia, immersa nel freddo gelido dell’inverno. Tuttavia, quando si alza il vento da nord,
tutto cambia: il cielo si tinge di un magnifico azzurro, ed è un piacere percorrere in bicicletta i vicoli del centro storico, alla ricerca dell’anima della città. Il vicolo Kuache Hutong, affiancato da alberi di “huaishu” (Sophora japonica), che ospita la residenza avita del famoso pittore Qi Baishi (1864-1957), è ancora intatto. Anni dopo, scomparirà tra gli alti palazzi e i grandi magazzini della zona di Xidan. Solo la casa sarà preservata. All’Accademia di Belle arti, accanto alla centrale via Wangfujing, e nel villaggio dei pittori dello Yuanmingyuan, è facile incontrare Liu Wei e Fang Lijun, giovani e scapigliati, in partenza, su invito del critico d’arte Achille Bonito Oliva, per la Biennale di Venezia, trampolino di lancio che li renderà i massimi rappresentanti dell’arte moderna cinese nel mondo. Ovunque si respira l’aria frizzante del cambiamento, legata alla politica di riforma e apertura in atto da un decennio.

In seguito, la capitale si doterà di nuovi quartieri residenziali e di strade più ampie, percorse prima da maree di biciclette e poi da lunghe file di automobili, mentre le possibilità di studio e di occupazione legate allo sviluppo economico permetteranno ai giovani di crearsi un futuro diverso da quello dei genitori, di viaggiare e di ampliare i propri orizzonti. Ovunque, inizia la lotta per lo sradicamento della povertà, che affligge soprattutto le campagne, spesso isolate per mancanza di collegamenti stradali e ferroviari. All’inizio degli anni novanta del secolo scorso, in visita nella contea di Zhaoxian, nello Hebei, famosa per il ponte in pietra Zhaozhouqiao, eretto alla fine del VI secolo d.C., per la mancanza di autobus, ho percorso a piedi parecchi chilometri prima di riuscire a trovare un “zhaodaisuo”, una guest-house, per la notte. Tuttavia, la rustica bellezza dei luoghi faceva dimenticare ben presto la fatica. Il percorso in treno da Beijing a Kunming richiedeva 52 ore, ma offriva l’opportunità di incontri interessanti. Ho conosciuto il mio amico tibetano Tashi Tsering proprio
su questa linea, nella primavera del 1988. La velocità del cambiamento è stata inimmaginabile, non solo per gli stranieri come me, ma anche per i cinesi stessi, i quali, in pochi anni, si sono visti catapultati in una realtà del tutto diversa.

Lo sviluppo più rapido l’hanno registrato le zone del sudest della Cina, dal terreno fertile e dalla ricca tradizione imprenditoriale,
legata un tempo alla produzione e al commercio della seta. Un caso speciale è rappresentato da Wenzhou, che già alla fine degli anni settanta pullulava di laboratori familiari, secondo quello che sarà chiamato “il modello di sviluppo di Wenzhou”. Situata in una zona costiera circondata da monti, fittamente popolata, Wenzhou è una tradizionale terra di emigrazione, con meta privilegiata l’Italia e l’Europa. Il 60% dei cinesi emigrati in Italia proviene dalla zona di Wenzhou. Dopo il mio trasferimento da Beijing a Wenzhou e, in seguito, nella vicina Rui’an, ho scoperto una realtà sorprendente di coraggio e di determinazione: contadini e artigiani che, partendo dal nulla, hanno creato attività di notevoli dimensioni. Il caso più eclatante è quello di Nan Cunhui (1963-), originario di Liushi, presso Yueqing, a nord di Wenzhou, CEO del Gruppo Zhengtai (CHNT): figlio di un ciabattino ambulante, a tredici anni egli ha sostituito il padre infermo, imparando per strada l’arte della sopravvivenza. In seguito, ha aperto un piccolo laboratorio di apparecchiature elettriche a basso voltaggio, puntando sulla qualità, ampliato e ristrutturato più volte fino a diventare la multinazionale attuale. Tutto ciò, naturalmente, è imprescindibile dalle politiche di incoraggiamento del governo centrale, che hanno creato le condizioni per il rapido sviluppo dell’intero paese, ivi compresa la zona di Wenzhou. Un tempo noti per le condizioni di isolamento, dovuto alla mancanza di strade e di linee ferroviarie, e per la conseguente povertà, i wenzhounesi si distinguono per l’audacia e lo spirito imprenditoriale, secondo il motto “ganweirenxian”- il coraggio di fare da battistrada - per cui “di giorno sono imprenditori e di notte dormono per terra”. Uno
spirito che ha origini lontane: la Scuola di Yongjia, comparsa a Wenzhou, già nel XII secolo promuoveva lo sviluppo privilegiato del commercio e l’arricchimento sociale, in contrasto con la teoria confuciana dell’agricultura al primo posto.

Di recente, grazie alla costruzione delle infrastrutture dei trasporti, ai finanziamenti del governo, alle rimesse degli emigrati e alla ricchezza creata dalle imprese, i villaggi della zona di Wenzhou, afflitti da un forte degrado generale, hanno proceduto in primo luogo al risanamento dell’ambiente naturale inquinato dagli scoli delle fabbriche, valorizzando a fondo la bellezza del paesaggio, caratterizzatoda monti, cascate, canali, boschi di bambù e risaie, e del patrimonio architettonico, così da sviluppare il turismo. Per capire la portata del lavoro effettuato, basta visitare la vallata del fiume Nanxijiang, costellata di borghi millenari, oppure la zona di Nantian, a Wencheng, patria del ministro Liu Ji (1311-1375), disseminata di stagni di lotti e di risaie, e Caochunzhen, a Rut'an, dove un bassofondo periodicamente soggetto a catastrofici allagamenti è stato trasformato in un magnifico parco ecologico. Ciò ha indotto molti giovani emigrati in città a tornare al paese natale, trovando lavoro a poca distanza da casa nei settori dell'agriturismo, della coltivazione e lavorazione della frutta e verdura, ecc. Dal canto suo, l'attiva preservazione del patrimonio culturale immateriale, nelle sue varie forme, sta creando un indotto notevole.

Per fare un esempio, il ripristino della produzione della stoffa Lanjiaxie, tinta a mano con indaco naturale, tipica di Rut'an, ha orifinato la comparsa di prodotti innovativi nei campi dell'abbigliamento, dell'oggettistica e della decorazione interni. Visto l'attivismo del wenzhounesi, in futuro vedremo sicuramente altri sviluppi del genere.

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