Shinzo Abe, primo ministro giapponese, si gioca tutto nelle elezioni anticipate di domani, che lui stesso ha provocato scogliendo la Camera bassa, per dare uno scossone all'economia del Paese. In corsa per accaparrarsi i 475 deputati sono 11 partiti, con i Liberaldemocratici (Ldp) del premier conservatore che oscillano tra il 28 e il 37% e il Partito democratico (Dpj), del leader dell’opposizione Banri Kaieda, che i sondaggi collocano tra il 9 e il 13% dei voti. Abe non solo vuole vincere (ed è convinto di farcela), ma si aspetta anche un successo robusto, in grado di dargli quella fiducia che ritiene necessaria per attuare le riforme che, a suo avviso, servono al Paese. Secondo gli ultimi sondaggi dell’agenzia di stampa giapponese Kyodo le percentuali del partito del premier sono vicine all’obiettivo dei 300 seggi sui 475: Lpd, in coalizione con Nuovo Komeito, si aspetta di ottenere circa i due terzi dei seggi. Staccato il Partito democratico e, a seguire, altre formazioni politiche tra cui gli ultra-nazionalisti del sindaco di Osaka, Toru Hashimoto.
Il futuro del Giappone, inutile girarci intorno, dipende da quanto Abe riuscirà a convincere i giapponesi. Le elezioni di domani, infatti, sono una sorta di referendum sulla cosiddetta "Abenomics", la politica economica ultra espansiva messa in atto dal premier in questi anni. Il Paese del Sol Levante spera di uscire dalla recessione in cui è caduto nell’ultimo trimestre, con l’aumento dell’Iva all’8% (dal 5%), e lo yen che ha toccato il suo minimo in sette anni. Un altro dato molto negativo è questo: da più di un anno (13 mesi per l'esattezza) il reddito delle famiglie sta scendendo. E i prezzi non seguono lo stesso trend, tutt'altro. Questo non fa che deprimere ancor di più i consumi, con le conseguenze che tutti conoscono.
Ma il termometro della fiducia in Abe cosa dice? Secondo Kyodo il 52% degli intervistati è contrario alla sua politica economica, che punta tutto sullo stimolo fiscale e le riforme strutturali per cercare di uscire prima possibile dalla recessione. Il 37% degli intervistati, invece, si dichiara a favore del premier. Sembrerebbe un dato assai poco incoraggiante, ma bisogna tenere conto anche dell'offerta politica nel suo complesso e delle possibile alternative.
La campagna elettorale, stando ad alcuni attenti osservatori, non è stata all'altezza delle migliori tradizioni: si è parlato poco delle "questioni chiave" e in Giappone prevale ormai, come anche in alcuni paesi europei e non solo, una diffusa apatia degli elettori. Questo potrebbe tradursi in un record di astensione. Se così fosse il partito del premier potrebbe risultarne favorito anche perché in molti si sentono delusi (alcuni addirittura traditi) dalla politica dei precedenti governi del Partito democratico dopo che, tra il 2009 e il 2011, hanno visto tre primi ministri in tre anni. Insomma, l'alternativa ad Abe non c'è. Bisogna solo vedere quanto fieno riuscirà a portare in cascina.
Altre questioni chiave per il Giappone, prettamente di politica estera, come il peggioramento dei rapporti con Cina e Corea del Sud e i problemi legati ai cittadini giapponesi rapiti dalla Corea del Nord, hanno avuto pochissimo spazio nella campagna elettorale. Abe però ha avuto buon gioco assumendo una posizione marcatamente nazionalista che, se gli ha inimicato i Paesi vicini al Giappone, lo ha rinforzato a livello di consensi interni.
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