Atleta protesta contro l'inno nazionale Usa. E scoppia la polemica

Protesta sul podio dell'atleta di colore, Gwen Berry: mentre risuona l'inno nazionale degli Stati Uniti, non guarda la bandiera a stelle e strisce e si volta verso le tribune in segno di protesta contro il "razzismo sistemico"

Atleta protesta contro l'inno nazionale Usa. E scoppia la polemica

"Stop playing with me". La foto pubblicata dall'atleta di colore Gwen Berry su Twitter la dice lunga su cosa sta diventando la guerra culturale portata avanti dalla sinistra progressista nel nome del politicamente corretto. Durante la cerimonia di premiazione per le prove olimpiche di atletica leggera degli Stati Uniti, Berry, olimpionica e terza classificata al lancio del martello nella gara di sabato, si è voltata sul podio per protesta mentre nello stadio risuonavano le note de The Star-Spangled Banner, l'inno nazionale degli Stati Uniti, girandosi verso le tribune con una evidente smorfia in viso e distogliendo lo sguardo dalla bandiera a stelle e strisce. Verso la fine ha mostrato la sua - "Activist Athlete" - e se l'è messa intorno alla testa. L'atleta ha lamentato il fatto che l'inno nazionale sarebbe dovuto essere suonato in un altro momento, e non quando le atlete erano sul podio. E così, mentre la vincitrice DeAnna Price e la seconda classificata Brooke Andersen erano ferme sul podio con le mani sul cuore mentre fissavano la bandiera degli Stati Uniti e dell'Oregon, Berry si agitava e camminava sul terzo gradino. Poi si voltata verso il pubblico.

La protesta di Berry contro l'inno nazionale

Perché ingonocchiarsi, nella crociata conformista del politically correct, è solo l'inizio, un primo step: il prossimo passo sarà quello di prendersela con il proprio inno nazionale, qualunque esso sia, retaggio identitario che gli sventurati profeti della cancel culture non possono proprio tollerare. Perché questi crociati progressisti, animati dalla retorica open borders, figurarsi se possono vedere di buon occhio il patriottismo o l'amore per la propria nazione. Anche nello sport. Gwen Berry, seguace e sostenitrice di Black Lives Matter, come si può facilmente intuire scorrendo il suo profilo Twitter, ha infatti promesso di usare la sua posizione per continuare a sensibilizzare l'opinione pubblica circa le ingiustizie sociali nel suo Paese, gli Stati Uniti. "Il mio scopo e la mia missione sono più grandi dello sport", ha detto Berry. "Sono qui per rappresentare coloro che sono morti a causa del razzismo sistemico. Questa è la parte importante. Ecco perché oggi sono qui".

"Hanno detto che l'avrebbero suonato prima che fossimo sul podio, poi l'hanno suonato quando eravamo là", ha detto Berry. "Ma non voglio davvero parlare dell'inno perché non è importante. L'inno non parla per me. Non l'ha mai fatto". L'atleta, a dirla tutta, non è nuova a iniziative di questo tipo. Durante i Giochi Panamericani a Lima, in Perù, alzò il pugno in segno di protesta, come Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi del 1968 a Città del Messico. In quell'occasione, l'atleta sottolinetò che il suo Paese "è caratterizzato da ingiustizie estreme".

Un gesto che divide l'America

Come riporta Npr, la vicenda che vede protagonista Berry ha smosso la politica ed è stata affrontata durante l'ultima conferenza stampa della Casa Bianca, dove il segretario stampa Jen Psaki ha risposto a una domanda di un giornalista nella quale veniva chiesto se il presidente Biden ritenesse che le azioni di Berry fossero appropriate per un atleta che rappresenta gli Stati Uniti alle Olimpiadi. "So che (Biden) è incredibilmente orgoglioso di essere americano e ha un grande rispetto per l'inno e tutto ciò che rappresenta", ha detto Psaki. "Direbbe anche che parte di quell'orgoglio nel nostro Paese significa riconoscere che ci sono momenti in cui noi, come Paese, non siamo stati all'altezza dei nostri più alti ideali, e significa rispettare il diritto delle persone, garantito dalla Costituzione, di protestare pacificamente". Nessuna condanna, insomma, un colpo al cerchio e una alla botte per provare ad accontentare tutti.

Dure critiche da parte dei repubblicani. "Perché la sinistra odia l'America?" osserva su Twitter il senatore del Texas, Ted Cruz. "Certo, abbiamo i nostri difetti, ma nessuna nazione nella storia del mondo ha liberato più persone dalla prigionia di noi".

Il vero problema è che la battaglia culturale e politica del politicamente corretto rischia di minare le regole base della convivenza pacifica, della comunità nazionale, del rispetto reciproco. Se si mettono in discussione i valori fondanti di una comunità, la democrazia stessa è a rischio.

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