Insediamento di Erdogan: 18mila dipendenti pubblici licenziati

A poche ore dall'inizio del suo secondo mandato presidenziale, Erdogan ha disposto il licenziamento di 18mila dipendenti pubblici accusati di “legami con gruppi terroristici”

Insediamento di Erdogan: 18mila dipendenti pubblici licenziati

A poche ore dall’insediamento di Erdogan, più di 18mila dipendenti pubblici sono stati allontanati dal luogo di lavoro. Il secondo mandato presidenziale dell’ ”uomo forte” del Paese anatolico inizia quindi con l’estromissione di migliaia di funzionari accusati di “collaborare con gruppi terroristici”. Nei giorni scorsi, il Capo dello Stato aveva annunciato di essere pronto a revocare lo “stato di emergenza” in vigore dal 2016. La decisione suindicata, tuttavia, appare come una secca smentita dei proclami governativi.

Il decreto presidenziale che sancisce l’estromissione di migliaia di impiegati statali è stato pubblicato domenica pomeriggio sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica turca. Destinatari del provvedimento varato alla vigilia dell’insediamento di Erdogan sono 18.632 servitori dello Stato, tra i quali figurano 9mila ufficiali di Polizia, 6mila militari e 199 professori universitari. Alla base del decreto vi sarebbero “ragioni di sicurezza nazionale”. I dipendenti pubblici licenziati sono stati infatti accusati di intrattenere rapporti con “gruppi terroristici”. Il loro allontanamento dal luogo di lavoro sarebbe una misura precauzionale diretta a impedire “infiltrazioni malsane nei gangli vitali dello Stato”. Agli individui oggetto del provvedimento sono stati immediatamente ritirati i passaporti. Il decreto ha inoltre disposto, sempre per ragioni inerenti alla sicurezza pubblica, lo scioglimento di 12 associazioni e la chiusura di tre giornali e di una emittente televisiva. L’Akp, il partito di maggioranza, si è subito schierato a difesa della misura restrittiva, presentandola come necessaria alla salvaguardia della nazione dalle “minacce sovversive”. Critiche alla scelta del Presidente sono state invece espresse dagli esponenti dell’opposizione. Muharrem İnce, membro del Partito Repubblicano del Popolo e principale sfidante di Erdogan alle ultime elezioni presidenziali, ha denunciato le “politiche illiberali” propugnate dal Capo dello Stato.

I 18mila dipendenti pubblici licenziati sono gli ultimi destinatari di misure restrittive varate in base alle norme introdotte nel 2016, all’indomani del fallito golpe militare. Secondo le Nazioni Unite, negli ultimi due anni più di 160mila funzionari sarebbero stati allontanati dal luogo di lavoro perché accusati di legami con organizzazioni terroristiche o sovversive. La maggior parte degli individui estromessi non sarebbe stata oggetto di alcuna incriminazione ufficiale. Solo un terzo di questi, infatti, sarebbe stata sottoposta a procedimento penale.

L’Onu ha comunque sottolineato la costante violazione, da parte delle autorità di Ankara, delle garanzie sancite dalle convenzioni internazionali nei confronti di coloro che si trovano a essere imputati in un processo. La fine dello “stato di emergenza”, alla luce dei licenziamenti disposti alla vigilia dell’insediamento di Erdogan, sembra, di conseguenza, sempre più lontana.

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