Raid aerei a tutto campo lungo la frontiera tra la Siria e l'Iraq e offensiva diplomatica per costruire un'estesa coalizione che sia in grado di "eliminare l'Isis". Dopo una politica estera troppo esitante, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha deciso di accelerare la strategia per "neutralizzare e distruggere" il Califfato. Il segretario di Stato John Kerry è andato personalmente a illustrare il piano a Baghdad e in altre capitali della regione, mentre Obama lo presenterà nella notte agli americani, forse non a caso alla vigilia del tredicesimo anniversario degli attacchi dell’11 settembre.
Dpo aver ricevuto i leader del Congresso nell’Ufficio Ovale, il commander in chief ha convocato nella situation room della Casa Bianca una riunione con il National Security Council. Una sorta di "vertice di guerra" con tutti i massimi responsabili della sicurezza nazionale, dal Pentagono alla Cia all’antiterrorismo. "La coalizione internazionale sconfiggerà l’Isis, eliminerà la minaccia dall’Iraq, dalla regione e dal mondo", ha assicurato Kerry incontrando il nuovo premier iracheno Haider al Abadi nel palazzo sul Tigri che fu di Saddam Hussein. "L’Isis è l’anti-Islam e nel mondo moderno non c’è spazio per la loro barbarie e la loro brutalità", ha ammonito il capo della diplomazia americana che ora ha in agenda incontri coi colleghi di Egitto, Giordania, Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar, Kuwait, Barhein e Oman. Al Abadi ha appena formato il governo delle larghe intese e ha di fatto avviato quella condivisione del potere tra sciiti, sunniti e curdi che Washington considera necessaria per potersi impegnare in maniera attiva contro l’Isis. "In Iraq si sta facendo un duro lavoro", gli ha dato atto Kerry aggiungendo che il Paese è "soltanto all’inizio". Un riferimento al fatto che in realtà i fondamentali ministeri della Difesa e degli Interni rimangono ancora da assegnare, e non sarà facile. Come non sarà facile convincere alcuni degli alleati chiave ma recalcitranti a collaborare attivamente alla coalizione contro i miliziani islamici. A cominciare da Riad, che non sembra disposta a sbilanciarsi troppo in una guerra contro lo Stato islamico che potrebbe provocargli contraccolpi con gli integralisti sunniti all’interno del regno. Non a caso, Kerry andrà a parlare con la leadership saudita direttamente da Baghdad, mentre Obama oggi ha personalmente telefonato a re Abdallah bin Abdul Aziz.
Non sembra semplice neanche la partita con la Turchia, che non vede certo di buon occhio la fornitura di armi ai curdi, e che teme rappresaglie da parte dei miliziani dell’Isis sui 49 turchi che ha catturato quando lo scorso giugno si è impadronito della città irachena di Mosul. Nei giorni scorsi, il capo del Pentagono Chuck Hagel è stato ad Ankara per chiedere alla Turchia di bloccare le "autostrade della jihad" che attraverso il suo territorio hanno consentito l’arrivo in Siria e Iraq di migliaia di jihadsiti. Non è chiaro cosa abbia ottenuto, ma non ci sono stati impegni ufficiali. Chi è disposto a partecipare anche ai raid aerei è invece la Francia. "Parigi prenderà parte se necessario a un’azione militare aerea» sull’Iraq contro lo Stato islamico", ha detto infatti il ministro degli Esteri Laurent Fabius. L'Italia si è, invece opposta.
"Gli Stati Uniti hanno deciso di fare raid aerei, noi abbiamo scelto un’altra strada", ha spiegato il ministro della Difesa Roberta Pinotti sottolineando che "l’idea di oggi è che dobbiamo sostenere e rafforzare gli attori locali che possono fermare l’Isis all’interno dei loro territori". E a questo proposito la Pinotti ha citato l’invio di armi ai curdi "in accordo con le autorità irachene", aerei da rifornimento e capacità addestrative. Oltre questo Roma non andrà.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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