Il Kazakistan è una galera: 6mila arrestati

Molti anche gli oppositori rastrellati in casa. Ponte aereo da 170 voli dalla Russia

Il Kazakistan è una galera: 6mila arrestati

Sulla pista dell'aeroporto militare di Chkalovsky, in Russia, è un via vai di uomini e mezzi. I velivoli vengono equipaggiati di soldati e armi per decollare alla volta di Zhetygen in Kazakistan, dove Mosca continua a schierare truppe del presunto mantenimento della pace. Da giovedì a domenica sono stati effettuati 170 viaggi, e questo la dice lunga sull'intenzione di Putin nel militarizzare il più possibile la nazione che si è ribellata (liberamente o con qualche sostegno esterno) al presidente Tokayev, ma soprattutto al padre padrone Nursultan Nazarbajev. Gli uomini del colonnello Andrei Serdiukov sono supportati dal contingente dell'Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva (Csto), dispiegato vicino alla capitale Nur-Sultan, e ad Almaty, polo economico del Paese. Il consulente militare del Csto, Igor Panarin, parla di «sei ondate di attacchi estremisti che siamo riusciti a frenare con poche perdite, ma non è il momento di abbassare la guardia». Panarin è convinto che a fianco della gente comune siano scesi in strada guerriglieri con esperienza di combattimento nelle zone calde del pianeta, che farebbero parte di «gruppi terroristici ben coordinati, addestrati all'estero e di natura jihadista». Secondo il Gru, il servizio informazioni e spionaggio delle Forze armate russe, alcuni miliziani sarebbero entrati in Kazakistan nei giorni precedenti agli scontri, mentre altri apparterebbero a locali cellule dormienti in attesa di essere svegliate.

Siamo di fronte a un vero e proprio tentativo di golpe? Difficile comprendere le dinamiche in questa fase, ma di sicuro, miliziani o meno, ci sono centinaia di morti tra i civili (addirittura tre bambini). Persone senza dimestichezza con le armi. Ieri Tokayev ha silurato due vicepresidenti del Comitato per la sicurezza nazionale, altro elemento che farebbe pensare a un putsch. Il presidente kazako, spinto dalle testimonianze video di blogger indipendenti, che sono riusciti ad aggirare la chiusura di internet e dei canali social tramite un ponte-media turco, inizia poco alla volta ad ammettere che i morti non sono soltanto 26, come aveva dichiarato a più riprese nelle apparizioni televisive. Dall'emittente Kanal 24 parla di 164 deceduti negli scontri, dimostranti che continua a chiamare «terroristi armati e disciplinati da qualche Paese straniero». In realtà sabato le poche voci libere del Paese, attraverso Il Giornale, avevano parlato palesemente di carneficina e di oltre 500 morti, passati alle armi dai soldati che nelle strade di Almaty, Astana, Aktobe e Taldykorgan hanno sparato ad altezza d'uomo. Scenario condannato ieri anche dal Segretario di Stato americano Blinken, che ha anche ricordato che il tema kazako non verrà trattato nel corso dei colloqui di oggi a Ginevra tra Usa e Russia, interamente incentrati sulla questione ucraina.

La repressione avviene anche con gli arresti. É salito a oltre 6mila il numero delle persone detenute, come riferisce il ministero dell'Interno. Quello però che ben si guarda dal raccontare il ministro Erlan Turgymbaev, e che va oltre la narrazione, riguarda un gran numero di oppositori che non sono stati fermati in strada, ma prelevati direttamente dalle loro abitazioni. Con un sistema che ricorda da vicino le ronde delle famigerate Ford Falcon verde senza targa, durante la dittatura argentina negli Anni Settanta.

Lavrov con Nazarbajev e Putin con Tokayev, continuano a dar vita a bilaterali telefonici ogni giorno. Il Cremlino ha fatto sapere inoltre che il presidente russo parteciperà alla riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza collettiva della Csto che si terrà in videoconferenza sotto la presidenza dell'Armenia.

Sul dramma kazako è intervenuto Papa Francesco nel corso dell'Angelus domenicale.

Il Pontefice ha spiegato di pregare per il popolo, di averlo affidato alla protezione della Madonna Regina della Pace di Oziornoje, e auspica che «si ritrovi al più presto l'armonia sociale per mezzo della ricerca del dialogo, della giustizia e del bene comune».

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