L’Islam incoraggia gli estremismi. Intervista a Mordechai Kedar.

In molti contestano la decisione storica di Ariel Sharon quando nel 2005 diede ordine di smantellare gli insediamenti da Gaza. La destra e in alcuni casi anche qualche laburista illuminato, vedono quell’operazione come la causa principale dei conflitti che sistematicamente si riaccendono tra Gaza e Israele. Gli stessi concordano sul fatto che l’operazione Protective Edge non sia stata abbastanza dura da interrompere definitivamente quella che gli analisti chiamano “guerra permanente” tra Hamas e Israele. A pensarla così è anche Mordechai Kedar, professore di letteratura araba all’Università Bar-Ilan di Tel Aviv e studioso delle popolazioni arabe. Personaggio molto conosciuto in Israele, ma non solo. 25 anni nei reparti di intelligence militare (AMAN) dove si è specializzato in gruppi islamici lo hanno reso famoso anche tra gli arabi: è spesso ospite di emittenti come Al-Jazeera dove intavola discussioni accese e provoca l’avversario politico in un arabo che sfiora la perfezione.

Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo per una tregua permanente e tra un mese inizieranno i negoziati. E’ la volta buona?

Non credo che la tregua reggerà per molto tempo e la causa della sua fragilità è molto semplice: l’indebolimento di Hamas in questi anni ha permesso la nascita di molte altre organizzazioni, alcune delle quali più vicine all’Iran di quanto non lo sia Hamas che vive invece un periodo di gelo con il governo di Tehran a causa della guerra in Siria: Hamas ha deciso di schierarsi contro Assad e l’Iran non ha mai buttato giù la cosa. Gruppi come la Jihad islamica sono certamente soddisfatti di questa tregua, anche perché è ciò che chiedeva l’Iran, interessato a non sprecare armi in attesa di quella che loro chiamano la “grande guerra”, il giorno in cui scoppierà un conflitto con Israele. C’è poi un’altra questione da sottolineare: Hamas non ha più consenso tra la gente. La popolazione, purtroppo anche quella civile, ha avuto grosse perdite e sempre più cittadini di Gaza rimproverano Hamas di avere costruito tunnel sotto le loro case. Solo chi è direttamente coinvolto nell’organizzazione continua a sostenerla, ma solo per un tornaconto economico naturalmente.

Israele accetterà la costruzione di un aeroporto e di un porto a Gaza?

No. Fino a che Hamas avrà il controllo del paese Israele non accetterà mai, anche perché sa bene che utilizzerebbero infrastrutture del genere per rifornirsi di armi. Hamas non chiede un porto perché pensa che possa portare ricchezza alla gente di Gaza, ma lo fa per rifornirsi di armi e materiali per la ricostruzione dei tunnel. Per fortuna Hamas ha perso molti consensi a Gaza nelle ultime settimane.

Però se da una parte Hamas perde consensi a Gaza vediamo che li conquista in Cisgiordania, come mai?

Semplicemente per un motivo: sono all’opposizione. La gente è stufa di Abu Mazen e dei continui scandali che lo coinvolgono. E’ noto che i due figli Yaser e Tareq sono gli uomini più ricchi della Palestina, sono a capo di molte compagnie costruttrici. Hamas è molto amato perché Abu Mazen è molto odiato. Se vi chiedete ancora perché Israele rifiuta la nascita di uno stato palestinese, la risposta è molto semplice: non possiamo permetterci una Palestina guidata da Hamas a pochi chilometri da Gerusalemme. In termini di sicurezza sarebbe un disastro. Se Israele lasciasse il territorio in mano ai palestinesi potrebbe riaccadere ciò che è accaduto a Gaza. In un solo anno e mezzo dopo che Israele ha lasciato Gaza, Hamas ha preso il controllo e cacciato ogni concorrente. Oggi ne vediamo i risultati.

In molti ricordano come Hamas sia stato finanziato da Israele nei decenni passati e alcuni sostengono che Israele l’abbia fatto per indebolire l’OLP. Israele si dovrebbe sentire responsabile in qualche modo di quanto sta succedendo?

Guardi, non esiste proprio. Quando Israele supportava Hamas le cose erano diverse e soprattutto Hamas era diverso. All’inizio Hamas non era altro che una sorta di ONG nata per sostenere famiglie povere e giovani dipendenti da droga e alcol. Prima del 1987, anno della fondazione dell’organizzazione, è vero che Israele la sostenne, ma per ben altri scopi.

I rapporti tra Obama e Netanyahu si sono raffreddati negli ultimi periodi. Quali possono essere le conseguenze di questo allontanamento?

Non cambierà niente, Obama continuerà a supportare Israele. Il congresso ci supporta e le persone ci supportano e non solo gli ebrei. Gli Stati Uniti sanno bene che l’unica democrazia affidabile in Medio Oriente è Israele e sanno che non possono fare a meno di noi. Non c’è dubbio che Obama stia tentando di essere meno presente all’estero, i cittadini americani chiedono più ricchezza in patria e meno azioni di politica internazionale, ma le cose alla fine cambieranno molto poco. Semmai è l’Europa che tentenna, ma lo fa per motivi elettorali e soprattutto di sicurezza interna. Si immagina se l’Europa decidesse di fare la “guerra” ad Hamas come reagirebbero i milioni di musulmani che vivono a Londra, Parigi, Milano, Rotterdam?

Il Primo Ministro d’Israele Netanyahu ha dichiarato che Hamas e ISIS sono la stessa cosa, è d’accordo?

Assolutamente si. L’ideologia è la stessa, alla base c’è il concetto di Jihad. Non esiste il Corano di Hamas e il Corano dell’ISIS. Sono i nemici in prima fila a cambiare: per entrambi il nemico è l’occidente solo che per Hamas l’occidente è Israele.

Quanto sta succedendo in questi giorni in Siria, Iraq e Libia ha riacceso il dibattito sulla natura dell’Islam. In molti in Italia sostengono che non è esista un “islam moderato”. Qual è la sua opinione al riguardo?

Non c’è un islam moderato e un islam integralista. C’è un testo sacro, il Corano, una storia, una tradizione e un’ideologia. La differenza la fanno le persone. Un uomo moderato legge e applica le leggi del Corano in accordo con la propria natura da uomo moderato e viceversa. E’ però certamente vero che la storia e la tradizione islamica incoraggiano gli estremisti…

Lei è convinto che l’ISIS sia mossa soltanto da ideali religiosi?

La religione è dietro ogni cosa in medio oriente. Per questo gli europei non capiscono, perché in Europa la religione non ha un ruolo, politicamente parlando. In medio oriente non è così. Per quanto possa sembrare strano ad un europeo l’Isis fa ciò che fa solo in nome di una religione.

Molti combattenti in Iraq e Siria partono dall’Europa, è davvero un’emergenza?

Dipende, mi preoccupano i grandi centri come Milano e Rotterdam dove i musulmani sono concertati tutti insieme, senza essere integrati nella società. Ghetti dove è difficile accedere e dove è difficile per loro diventare europei. C’è da dire però che la tradizione islamica non facilita il processo di integrazione.

Ma possiamo davvero parlare di emergenza?

L’emergenza certamente c’è, ma non nei termini di combattenti in partenza. Il problema è alla base semmai. I musulmani in Europa sono davvero tanti e in alcune città rischiano di essere la maggioranza, penso a Marsiglia o Lione per esempio. Provi ad immaginare tra qualche anno le elezioni amministrative in quei centri. In alcuni casi, soprattutto in piccoli paesi della Francia a maggioranza araba, è stata applicata, seppure ovviamente non in via ufficiale, la shari’a: viene fatto divieto di vendere carne di maiale e alcol nei negozi appartenenti alle giovani generazioni arabe che invece vorrebbero più libertà. Oppure viene fatta richiesta alle amministrazioni locali di fermare le campane perché disturbano le preghiere in moschea. Lei è italiano, giusto?

Si.

Bene, si ricordi che la moschea più grande d’Europa si trova proprio in Italia, a Roma per l’esattezza.

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