Somalia: la terra della guerra immanente, della violenza ontologica e dei precetti di morte come unica certezza. Continua la deriva del Paese in un oceano di sangue: l'orrore inarrestabile, che ha trovato sulle sabbie africane l'humus in cui costruire l'anfiteatro della barbarie umana, è andato di nuovo in scena. Sabato un commando di Al Shabab ha colpito la capitale. Due autobombe e poi colpi di kalshnikov. L'attacco, contro due hotel di Mogadiscio, ha lasciato sul suolo in totale 22 uomini: 5 civili, 5 agenti della polizia e 12 attentatori. E l'azione degli jihadisti somali è arrivata a neanche un mese di distanza dall'agguato in Kenya, a Mandera dove sono stati uccisi dai terroristi, in un blitz notturno, 14 minatori.
Rpg e mura sforacchiate dalle raffiche di Ak-47, autobombe e colpi di mortaio. L'ex colonia italiana è una vertigine su un terrore incessante e benchè la desolazione della guerra endemica abbia polverizzato ogni speranza d'avvenire, niente è riuscito ad arrestare la costante caduta del Paese nel baratro del dramma. Una notizia degli ultimi giorni, trapelata da fonti e media locali, sembra presagire un nuovo incubo per la Somalia: la rottura dell'alleanza di Al Shabab con Al-Qaeda e un possibile avvicinamento agli jihadisti del Califfato.
Già a marzo gli uomini dell'Isis avevano invitato i combattenti di Al Shabab ad abbracciare causa e bandiera del Daesh e ora l'offerta della grande consorteria della guerriglia islamista sembra essere stata presa in considerazione dai combattenti africani. Una riunione tra i leader di Al Shabab è andata in scena a 340 chilometri dalla capitale la scorsa settimana. Il gruppo somalo non ha ancora ufficializzato nessuna rottura con al-Zawhiri e nemmeno un'affiliazione all'IS, ma secondo gli analisti la conferma di questo cambio di sodalizio potrebbe arrivare a breve. La ragione sarebbe dovuta anche al periodo di difficoltà che sta attraversando la formazione africana alle prese con problemi economici, sconfitte militari e numerose perdite sul campo.
E tra gli jihadisti caduti negli ultimi giorni, si annovera anche il nome di un cittadino britannico: Thomas Evans, la “Bestia bianca”. Questo era il nome di battaglia del venticinquenne originario del Buckinghamshire, ucciso in uno scontro a fuoco in Kenya ed evidenziatosi per la sua brutalità. Le foto che lo ritraggono durante la sua permanenza tra i guerriglieri somali lo mostrano sorridente mentre abbraccia i commilitoni e scherza con loro. A parte un coltello da combattimento e dei porta caricatori, nulla rivela un rigorismo marziale. Ha gli occhi stanchi e una barba rossa da marinaio del Nord.
L'indice è alzato verso Allah e quella posa, icona di uno smarrirsi dell'individualità a discapito di un collettivo di morte, accomuna Thomas ad altri foreign fighters: attratti dalla jihad come da un canto di sirene, incapaci di resistere al richiamo del potere, alla persuasione dell'imperitura gloria e all'avveniristico sogno della vittoria assoluta. Ed è per questo che forse è morto Thomas Evans. Ucciso lontano da ogni epica degli uomini di ventura, immagine invece di un sacrificio in nome dell'assurdo. Ed anche dell'orrore.
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