Luci, sandwich umani, ragazze, izakaya, club per soli uomini e l’inquietante frastuono delle sale giochi. Un fiume di donne e di uomini, in piena a ogni ora del giorno e della notte straripa lungo le strade di Shinjuku, il quartiere dall’anima “nera” di Tokyo.
Alla luce del sole è una delle aree più trafficate di tutta la capitale. Migliaia di salary men, impiegati, ragazzi, uomini e donne attraversano le sue strade. È stato stimato che la sua stazione (un vero termitaio in cui è più facile perdersi che trovar la via giusta) sia frequentata, ogni giorno, da almeno due milioni di persone. Prendere la metropolitana negli orari di punta è un’impresa degna d’esser raccontata ai posteri. Si viaggia schiacciati, nell’ordine compunto di vagoni troppo pieni per essere veri.
Ma è di notte che il quartiere si trasforma e diventa l’Eden del divertimento della capitale del Giappone. Sono migliaia i locali che punteggiano l’indefinito susseguirsi di luci e cartelloni. Propongono di tutto, dai ristoranti italiani fino ai bistrot che propongono autentica cucina vietnamita e thailandese. Da uno dei tanti grattacieli spunta il testone di Godzilla che veglia sulle notti brave dei giapponesi (e dei turisti) che qui si concedono gloriosi diversivi a una vita di duro lavoro.
Shinjuku è quartiere che non dorme mai e che, anzi, di notte si sveglia. Raccoglie l’antica eredità fumosa delle taverne in cui bere fino a non poterne più, delle bische in cui giocarsi tutta la paga. Provarono a cambiarne la natura, a snaturarne l’anima viziosa: nel dopoguerra progettarono di costruire lì un teatro kabuki. C’è rimasto solo il nome di quell’area di Shinjuku, Kabukicho. Dove, invece delle maschere, finirono per esibirsi le donnine allegre.
Le vie sono affollate di imbonitori. Alcuni di loro, li troverete solo qui a Kabukicho e nelle sue immediate vicinanze. Vi imbatterete in uomini di colore che si approcciano solo agli uomini soli. Si avvicinano sfoderando sorrisi immensi, tendendo le mani e spalancando le braccia. Non vogliono altro che indurvi a entrare nel club privé per il quale lavorano. Qualcuno di loro ha approfittato delle lunghe ore passate sul marciapiede per istallare dei piccoli chioschi che asseriscono di vendere autentici hot-dog americani.
Le izakaya, invece, non hanno bisogno di imbonitori che le promuovano. Sono banchi lunghi, attorno a cui siedono i clienti, spesso affezionati, spesso sempre i soliti. Che il titolare del locale privilegia rispetto agli occasionali. Bastano dieci persone – che rispondono a un appuntamento solito – per affollare le taverne caratteristiche di Tokyo.
Non hanno bisogno di strilloni nemmeno le frequentatissime sale giochi. Ce ne sono per tutti i gusti, spesso dislocate su più piani di interi palazzi. Ci sono videogiochi nuovissimi, dai tirapugni ai tamburi virtuali. Ma l’autentico must è il pachinko.
Nelle sale del pachinko, che si trovano ovunque in Giappone e sono molto chiacchierate, c’è sempre folla. Decine e decine di macchinette, a diverso tema (come le "nostre" slot machine), sono in fila, rigorosamente divise da paraventi. Ognuno gioca per sé e nessuno deve vedere come vanno le giocate degli altri. È una sfida di palline metalliche che vanno scaricate, più se ne ottengono più alta è la “pigliata”. Tutta fortuna, proprio come le "nostre" slot machine. Non di rado, giocatori fortunati ammonticchiano cassette intere di preziose sferette grige. Altri, che invece hanno la sfiga di star sul gozzo alla Dea Bendata, finiscono anche per rovinarsi.
Non è uno spettacolo bellissimo.
Non bastano le ammiccanti eroine manga a ingentilire l’ambiente dove, forse l’unico posto dove accade in Giappone, rimbomba fortissima la musica da discoteca sparata a tutto volume, con il metallico contrappunto delle palline che vanno e vengono. Sembra il rumore infernale di una fabbrica dove i sogni entrano e si trasformano in fantasticherie.
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