Nara, la perla di Buddha custodita dai cervi

Alle origini del Giappone, fu capitale e poi abbandonata dopo un intrigo di Palazzo. Da allora ci vivono i cervi che proteggono la santità e la bellezza del luogo

Nara, la perla di Buddha custodita dai cervi

Nara è una perla incastonata nelle pianure che separano Kyoto da Osaka. Per settant’anni fu il centro del Giappone, negli stessi anni che l’Europa conosceva la furia dei Franchi. Fu capitale di spiritualità e potere, quando la religione volle farsi potere, la capitale fu abbandonata. E lasciata ai cervi.

È vietato ogni atteggiamento ostile verso di loro. A Nara, da secoli, i cervi sono sacri. E sono gli uomini che devono stare attenti a non farli arrabbiare.

Nel grande parco di Nara, per antichissima consuetudine, i cervi vagano liberi. Attendono, a frotte, che i turisti acquistino dai baracchini i deer crackers, l’unico cibo che è permesso offrire loro. Si abbeverano ai canali, si riuniscono per farsi fotografare dagli stranieri e dai giapponesi in visita, tremano e scappano, oppure abbozzano reazioni quando si sentono disturbati dall’eccessiva espansività di uomini e bambini. Si riposano all’ombra dei giardini che fanno della città uno dei centri più affascinanti di tutto il Giappone.

Diretta emanazione del periodo Yamato, Nara è piena di splendide testimonianze spirituali. Il buddismo, qui, spinse l’aristocrazia a una vera e propria gara culminata nella costruzione del Todai-ji, il tempio fondato dall’imperatore Shomu nel 745 dopo Cristo. Fu un atto di devozione, finalizzato a commuovere le divinità di fronte al triste spettacolo delle epidemie che avevano sconvolto quell’area del nascente Giappone. Si dissanguò per allestire il complesso religioso in cui, ancora oggi, è possibile meravigliarsi davanti al Grande Buddha del Daibutsu-den. Solo il palmo della statua, dal polso alla punta del medio è alta poco più di due metri.

È la rappresentazione del Buddha che governa tutti i sistemi dell’universo, attorno a cui gravano i Bodhisattva. C’è tanta devozione. Si tratta di uno dei posti più sacri del Giappone, lì c’è anche una colonna con un foro. Ci si intrufolano i bambini che in fila per due e con i cappellini di paglia vengono accompagnati in gita dai loro disciplinatissimi e scrupolosi insegnanti: cosi facendo si guadagnano una prenotazione per il paradiso.

Fuori, attorno ai laghetti e tra la vegetazione, i cervi aspettano i fedeli e li accompagnano all’uscita. Fuori dal Nandai-mon, il portale che consente l’accesso (principale) al Todaji-in, c’è una piccola strada che farebbe l’invidia di uno qualsiasi dei centri del turismo vip occidentale.

Tra i venditori di salatini per cervi e imbonitrici che invogliano i turisti a gustare té verde, ci sono spazi espositivi dove è possibile – a cifre ragionevoli – portarsi a casa kimoni, yukate o le storiche spade giapponesi, le katana.

Mentre i timidi cervi, che stanno lì da secoli, custodiscono uno dei tesori più preziosi – e forse meno conosciuti – del Sol Levante.

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