Condannato a quattro pene capitali l’uomo che uccise e violentò Zainab Ansari, la bambina di 6 anni diventata l’emblema della piaga silenziosa degli abusi sui minori in Pakistan.
Nel luogo del ritrovamento del cadavere, una discarica di Kasur, vicino al confine con l’India, la polizia ha prelevato centinaia di campioni biologici che l’hanno condotta al ventiquattrenne Imarat Ali Naqshbandi. Così, ieri, un tribunale antiterrorismo di Lahore lo ha condannato all’impiccagione per sequestro, stupro, omicidio e per atto di terrorismo, all’ergastolo per sodomia e al pagamento di una multa di 3,2 milioni di rupie. Inoltre, il giovane è stato ritenuto responsabile di altre aggressioni.
Il padre di Zainab, Mohammad Amin, ha espresso soddisfazione per la “punizione esemplare” ma gli attivisti per i diritti umani non sono d’accordo. Naseem George, direttrice del “Aezaz-e-Niswan Development Organization” a sostegno dei diritti delle donne, ha dichiarato ad AsiaNews che “l’impiccagione non è la soluzione”. Anche Anjum James Paul, docente cattolico e presidente della “Pakistan Minorities Teachers Association” (Pmta), ha spiegato a Fides che “per quanto un crimine possa essere efferato, in coscienza, come cristiani non possiamo accogliere la pena di morte e diciamo che l’ergastolo può essere una pena adeguata”.
Insomma, all’indomani del verdetto, la sensazione è che questo processo-lampo sia più che altro servito alle autorità pakistane per “lavarsi la coscienza” di fronte all’opinione pubblica, dando in pasto alla folla che aveva reagito al brutale omicidio assaltando stazioni di polizia e palazzi del governo la “testa” dell’assassino. Ma l’epidemia di abusi sui minori in Pakistan, con almeno 10 denunce ogni giorno, non si contrasta con un verdetto spot. Secondo Anjum James Paul, infatti, “esiste una discriminazione anche nel perseguire questi casi orribili di violenza: le istituzioni statali come polizia e magistratura applicano un doppio standard, perché quando potenti musulmani rapiscono, abusano, convertono e sposano fanciulle minorenni cristiane o indù, non c’è uguale trattamento verso questi che sono autentici pedofili. Bisogna combattere sul serio la pedofilia in Pakistan, a tutti i livelli, e non proteggerla sotto l’egida della religione”.
E con la logica del doppiopesismo, secondo i dati raccolti dalla Pmta, nel quinquennio 2013-2017,
sarebbero 17.862 i casi di violenza sessuale contro i bambini segnalati in tutto il Paese, di cui 10.620 sulle ragazze e 7.242 sui ragazzi. Tanto che qualcuno non esita a chiamarla “cultura dello stupro”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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