Come se niente fosse. L'Ucraina denuncia l'invasione del proprio territorio, la Nato mette in circolazione le foto satellitari che lo documentano, la cancelliera tedesca Merkel - che nell'interessa dell'economia nazionale si era spesa in tutti i modi per trovare un compromesso che salvasse anche la faccia della Russia in questa crisi - perde la pazienza e per la prima volta accusa Mosca di aver inviato propri soldati e armamenti in Ucraina... e si potrebbe continuare. E Vladimir Putin cosa fa? Nega, fa dire al suo ministro degli Esteri che si tratta delle «solite illazioni senza prove» e da giocatore di poker con le spalle al muro fa l'unica cosa ancora possibile per non dare partita persa: mantiene la sua faccia impassibile e rilancia.
Ieri ha dichiarato che Kiev «non deve aver paura di trasformare l'Ucraina in uno Stato federale e ha reiterato la sua «richiesta» alla dirigenza ucraina di deporre le armi e presentarsi a negoziati con i secessionisti di Donetsk e dintorni, quelli che hanno già detto e ripetuto che non vogliomo il federalismo ma l'annessione a Mosca e che hanno già messo in difficoltà Putin confermando più volte di aver ricevuto un decisivo sostegno militare dal Cremlino.
In realtà parlare di richiesta è inesatto. Putin ieri parlava davanti a una platea di «giovani russi» e riferendosi a Kiev ha usato il verbo «costringere». Ha fatto ampio ricorso alla sua retorica preferita, quella del patriottismo di tradizione sovietica, e ha affermato che nell'Ucraina dell'est sta succedendo qualcosa di simile all'assedio nazista di Leningrado durante la seconda guerra mondiale.
Poi la «sparata» più grossa: l'Ucraina, i suoi alleati e la Nato - ha detto il presidente russo - devono stare attenti a provocarci perché la Russia, che pure «è lontana dall'essere coinvolta in un conflitto su larga scala», «è una delle grandi potenze nucleari e non ci si può scherzare. Rafforzeremo arsenale atomico e forze armate», naturalmente «per difenderci e non per attaccare». Naturalmente.
Mentre Putin nega l'evidenza e minaccia il non minacciabile, in Ucraina, in Europa e negli Stati Uniti crescono il disagio e la preoccupazione. Kiev chiede alla Nato «sostegno logistico ovviamente senza l'invio di truppe» per potersi difendere, e Polonia e Romania sostengono la richiesta; il premier uscente Yatsenyuk ha inoltre annunciato che il governo ucraino sottoporrà un testo al Parlamento che prevede la ripresa del percorso per l'adesione alla Nato, interrotto nel 2010. Varsavia, tradizionale capofila dei Paesi antirussi dell'Europa orientale un tempo sotto il tallone sovietico e oggi membri dell'Ue e della Nato, si è spinta fino a negare il sorvolo del suo spazio aereo al ministro della Difesa russo Shoigu, che è dovuto rientrare a Bratislava dove si era recato in visita. Il ministro tedesco degli Esteri Steinmeier ha lanciato l'allarme sul rischio che la situazione militare in Ucraina «finisca fuori controllo» e degeneri in una vera guerra: rischio concreto se si pensa che i «ribelli» e i loro spalleggiatori hanno annunciato di voler puntare sulla città portuale di Mariupol, strategico passaggio per la conquista del litorale del mar d'Azov che unirebbe di fatto la Russia alla Crimea già inglobata nel marzo scorso.
Ma è soprattutto la Nato a usare un linguaggio insolitamente deciso.
Il segretario generale, il danese Rasmussen, un «falco» atlantista cui presto subentrerà il più dialogante norvegese Stoltenberg, ha chiesto ancora una volta alla Russia di «cessare le sue azioni illegali in Ucraina» e ha detto chiaramente che la Nato «rispetterà in pieno» le decisioni che saranno prese dal governo di Kiev sulle politiche di sicurezza e sulle future alleanze. Putin è avvisato e la crisi si fa più profonda. Il vertice Nato del 4-5 settembre in Galles sarà dedicato proprio alla crisi ucraina.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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