Sono passati vent’anni da quando l’équipe di scienziati di Roslin, in Scozia, annunciò al mondo la nascita del primo animale clonato, la pecora Dolly.
Dolly, in realtà, era già nata da qualche mese. Era venuta alla luce a luglio del 1996 ma gli scienziati attesero un po’ di tempo prima di dare l’annuncio della sua nascita, il 22 febbraio del 1997.
Nacque grazie a una manipolazione cellulare. Il nucleo di una cellula prelevata dalla mammella di una pecora fu impiantato nell’oocita prelevato da un’altra e, quindi, messa a incubazione nell’utero di un terzo ovino. La sua vita fu tutta un esperimento. Controllata praticamente ogni giorno per capire limiti e pregi della clonazione, morì a sette anni per un’infezione polmonare e manifestò l’insorgere di un’osteoporosi precoce che fece temere a molti studiosi che gli animali clonati andassero incontro a un invecchiamento “anticipato”.
È stato praticamente grazie a Dolly che nel dibattito pubblico s’è imposto, di prepotenza, un rinnovato interesse per i temi della bioetica e della clonazione, fino a quel momento considerata come pura fantascienza.
Quello della clonazione era stato il grande tema di fine millennio. Negli anni ’90 la prospettiva di poter “fabbricare” in vitro esseri viventi (magari anche quelli estinti) grazie alla scienza era stata già la grande fascinazione alla base di uno dei successi più duraturi del cinema, quello di Jurassic Park uscito nel 1993.
Il caso di Dolly fu di estremo interesse per la comunità scientifica e consentì agli studiosi di capire e perfezionare gli studi che, tra le altre cose, stanno alla base dell’ingegneria genetica. E accanto al caso scientifico, però, sollevò anche un caso filosofico. Il tema dell’uomo che diventa creatore grazie alla scienza.
Che oppone, da un lato, i sostenitori della ricerca a ogni costo e dall’altro chi crede che gli esperimenti, davanti al mistero della vita, vadano fermati.In pratica, Dolly è “madre” di uno dei dibattiti più serrati, controversi e accesi del mondo contemporaneo. Imbalsata dopo la morte, è attualmente esposta al National Museum of Scotland di Edimburgo.
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