«Mi sarebbe piaciuto che fossero qui anche Cina e Russia». Nelle parole pronunciate ieri a Glasgow da Ursula von der Leyen c'è tutta la consapevolezza di un fatto indiscutibile: parlare di azioni concrete per invertire la rotta dei cambiamenti climatici in assenza dei leader politici di due tra i principali attori (e inquinatori) della scena planetaria serve a poco.
D'altra parte, la presidente della Commissione europea sa benissimo, come tutti i presenti alla Cop26, che le contemporanee assenze di Xi Jinping e di Vladimir Putin hanno due precisi significati. Il primo è che le agende dei rispettivi governi non soltanto divergono da quelle dei Paesi occidentali, ma intendono rimanerne ben distinte; il secondo è che i leader di Mosca e di Pechino seguono logiche politiche affatto diverse da quelle dei Paesi democratici, e tutto vogliono fuorché ritrovarsi oggetto di pubbliche pressioni (o peggio ancora, critiche) alle quali da autocrati quali sono non intendono rispondere. Rimane il fatto che le loro sedie vuote rappresentano plasticamente un colpo inferto alle speranze di una svolta planetaria già in questa conferenza scozzese.
Xi e Putin hanno dunque scelto di affidare i propri interventi a dei collegamenti video, e del resto il presidente russo aveva fatto la stessa cosa al recentissimo G20 di Roma. Questo ha dato loro agio di esprimere posizioni divergenti e prese d'impegno generiche senza doversi fare carico di impegnarsi in un indesiderato dibattito con chi non le condivide. Così, se già nel corso del vertice in Italia era stata fissata una scadenza al 2050 come termine ultimo per porre un freno alle emissioni inquinanti e il conseguente temuto aumento delle temperature, sia la Cina sia la Russia hanno invece messo in chiaro di voler porre i propri orizzonti temporali per il «Net Zero» al 2060.
Xi Jinping, che da tempo ha ribadito di non voler vedere condizionate le scelte della Cina in tema ambientale da logiche occidentali (cioè di Paesi che a differenza del suo hanno già raggiunto livelli alti di sviluppo e possono investire maggiori risorse per ridurre l'inquinamento), ha diffuso un suo intervento scritto in cui si è tenuto molto sulle generali, riconoscendo «l'evidenza crescente» degli effetti negativi dei cambiamenti climatici e la conseguente urgenza di un'azione globale. Azione che, ha però sottolineato, dovrà poter contare sul sostegno dei Paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo, in un clima di collaborazione: niente prediche da Occidente, insomma. Quanto a Putin, ha affidato al suo portavoce Dmitry Peshkov la replica alle critiche che il presidente americano Joe Biden gli aveva rivolto di non aver presentato proposte in tema di lotta alle emissioni inquinanti: Mosca, ha argomentato Peshkov, sta compiendo «enormi sforzi per ridurre l'impatto antropico sul clima», e la sua strategia prevede per il 2050 una riduzione dell'80% rispetto ai livelli del 1990 e al 60% rispetto al 2019, contando così di centrare per il 2060 l'obiettivo della neutralità carbonica annunciato da Putin all'inizio di quest' anno.
Campa cavallo. Ma c'è tra i massimi inquinatori mondiali chi ha intenzioni anche peggiori.
È il caso dell'India, il cui presidente Narendra Modi - presente invece a Glasgow - ha fissato il traguardo per le emissioni zero del suo Paese addirittura al 2070, quando solo i più giovani tra noi avranno forse modo di verificarlo da vivi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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