Una montagna di immagini da riempire gli occhi. Da Ruskin ai fratelli Dragosei, dalle «Alpi da scoprire» a «Enigma Helvetia». Due libri e due mostre sono i principali spunti di cronaca culturale di questo scorcio destate riguardanti le Alpi. Ma procediamo per quote.
«Enigma Helvetia», in corso a Lugano, in Svizzera, è lemblematico titolo dellallestimento che prosegue fino al 17 agosto e che, riguardando un Paese alpino per eccellenza, non relega le montagne a semplice sfondo, anzi. A vario titolo esse rientrano nellimmaginario elvetico. «La mostra - ci spiega Giovanna Masoni-Brenni, responsabile del dicastero cultura della Città di Lugano - è il primo evento del nascente polo culturale luganese che mira a fare dei propri spazi, in questo caso il Museo dArte e il Museo Cantonale dArte di Lugano, un unico sistema. Inizialmente avevamo pensato a un titolo come I giganti della montagna o La montagna disincantata, poi però, con i curatori, abbiamo optato per Enigma Helvetia. Il sottotitolo aiuta ad orientarsi meglio: Arti, riti e miti della Svizzera moderna».
Dedicata al complesso rapporto che, dalla fine dellOttocento a oggi, ha caratterizzato la produzione artistica, la storia e la cultura del Paese alpino, essa presenta opere e testimonianze di arte, architettura, design, fotografia, video e installazioni attraverso le quali la montagna recita un ruolo da protagonista. Raffigurata nelle sue diverse declinazioni romantiche, mistiche, di intrattenimento o di terreno di gioco (Leslie Stephen, padre di Virginia Woolf e fondatore dellAlpine Club, nel 1871 le definì «playground of Europe», cioè terreno di gioco dEuropa) è qui interpretata in numerose opere. «Cè anche molta ironia e levità nella mostra - continua Giovanna Masoni -, per stare in sintonia con lo spirito della montagna e della cultura che sono momenti di svago intelligente. Quello che vorremmo fosse il leit motiv della nuova cittadella della cultura luganese, dove la montagna sarà centrale per evidenti motivi storici, culturali, geografici».
Come non abbinare, allora, la più nota ambasciatrice di montagne dellera moderna, cioè Heidi, con la Svizzera? Heidi, la cui fortuna arrivò dalle trasposizioni cinematografiche e televisive, era in verità la protagonista di un romanzo uscito nel 1880 della scrittrice elvetica Johanna Spyri (1827-1901). Limmagine registrata nella memoria collettiva è quella del nonno buono con la pipa, di ripidi pendii fioriti dai quali la protagonista si lancia a rotta di collo, simbolo di libertà e affrancamento dai condizionamenti cittadini. Questo inno alla semplicità trova un corrispettivo nei ritratti infantili di Albert Anker (1831-1910), pittore svizzero molto amato dal grande pubblico per i suoi soggetti, in particolare quelli dellinfanzia. Maria und Benz, rispettivamente moglie e figlio dellartista Franz Gertsch (1930) - ritratti come in unistantanea fotografica - esprimono lo stato danimo gioioso e rilassato di una passeggiata nella natura. Ma la mostra, oltre al percorso tematico de «Il mito di Heidi», presenta anche altre sezioni «montane»: da «Il sentimento della montagna», con le visioni romantiche di William Turner, alle «Sacre cime», da «Altre montagne», con linstallazione di Reto Rigassi ispirata al Ghiacciaio del Rodano, a «Verticalità e orizzontalità».
Secondo John Ruskin (1819-1900), il grande critico inglese autore di Modern Painters, se una qualsiasi montagna potesse raccontare la propria storia, inizierebbe col ricordare quanto era stata grande. «E Ferdinand Hodler - scrivono i curatori della mostra - sostiene che il tormento drammatico dei picchi, delle creste, delle punte che si ergono nella solitudine delle altezze è destinato ad acquietarsi nella orizzontalità inerte del fondo degli oceani. Al contrario, il mito delle altitudini, lidea stessa di verticalità, di ascensionalità, appartengono a un immaginario epico, persino mistico, a volte solo turistico della montagna, le cui vette, pareti, precipizi, cenge e seracchi sembrano lanciare messaggi di sfida al coraggio, alla temerarietà di scalatori pronti a rischiare per realizzare ambizioni e ideali. Aspetti, questi, trascurati dalle popolazioni autoctone che hanno sempre percepito le cime come luoghi inospitali per uomini e animali, sterili per qualsiasi coltura. Ma in particolare molti artisti vedono nella montagna, come Ruskin e Hodler, un panorama di rovine e di crolli, il regno dellentropia, della stanchezza immane della materia cosmica, sotto i colpi della corrosione e del dilavamento. I corpi di Augustine Dupin e di Valentine Godé-Darel disegnati e dipinti da Hodler nella loro inerzia quasi minerale tracciano gli stessi skyline dei suoi paesaggi planetari e di quella loro natura inabitata, che pare rassegnarsi allappiattimento di una esausta orizzontalità».
Per restare alle mostre, in Val di Susa si è appena inaugurata, e proseguirà fino al 26 ottobre «Alpi da scoprire», nellambito del progetto «Valle di Susa. Tesori di Arte e Cultura Alpina». Anche qui lallestimento è dislocato su più sedi, dal Forte di Exilles al Museo Diocesano di Susa al Palazzo delle Feste di Bardonecchia, spaziando da quadri a fotografie depoca, da temi sacri alla nascente cultura dello sport invernale di cui Bardonecchia fu una delle culle.
Per restare in tema e riempire gli occhi di altra bellezza, per chi preferisce leggere, è uscito Cattedrali della terra, di Marco Ferrazza (Cda&Vivalda). Sottotilo: John Ruskin sulle Alpi. Corredato da tavole dello stesso Ruskin che nei pinnacoli alpini vedeva guglie di chiese gotiche, il libro collaziona in modo ragionato passi di diari e lettere di viaggio del critico inglese che sulle Alpi aveva lungamente viaggiato accompagnato dalla guida chamoniarda Joseph Couttet. Su un versante più moderno si colloca Corde gemelle di Francesco e Roberto Dragosei (Cda&Vivalda), libro che mostra laltro volto dellandar per monti (stavolta con corde e piccozze): quello scanzonato e gioioso dei nostri giorni. I racconti di questi due inseparabili gemelli, veri e propri recìt dascension contemporanei intrisi di raffinata comicità, sono contrappuntati da disegni a tema.
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