Nazionale sotto choc: «Era qui con noi Sembrava felice»

nostro inviato a Duisburg
Uno squillo di telefonino e la Nazionale resta per tutto il giorno sotto choc. La notizia del volo di Gianluca Pessotto, a Torino, dall’abbaino della sede della Juventus sul tetto della berlina di Bettega, tracima in pochi istanti dentro il tendone bianco di Duisburg dove l’Italia di Lippi, felice e spossata, con la qualificazione ai quarti del mondiale in tasca, prova a riprendere le forze. A quell’ora il capo ciurma Fabio Cannavaro risponde alle domande sulla difesa d’acciaio e sul Totti ritrovato. Ha come una sorta di antenna il capitano della Nazionale, capta al volo l’anteprima della notizia, diventa un cencio, si alza e scappa via verso l’albergo. Lascia in pegno del suo gesto, alla platea dei cronisti, italiani e stranieri, quasi tutti ancora all’oscuro della vicenda, un «scusatemi» e nel mattino cupo di un mondiale sorridente per i colori azzurri una tristezza infinita.
«Mancava solo questo», chiosa Stefano Balducci, dell’ufficio stampa della federcalcio, da una vita con la Nazionale e i suoi esponenti, scortando Cannavaro verso il rifugio di Landhaus Milser, l’albergo del club Italia. Per descrivere la scena che segue, non bisogna essere là dentro: basta incrociare gli occhi umidi di Ciro Ferrara, l’assistente di Lippi, oppure lo smarrimento di Zambrotta, al telefono con la moglie, a Torino, in ospedale, per avere notizie di prima mano dai medici, per capire il dramma che si consuma, lo choc che si diffonde. Dopo un pranzo scandito da un religioso silenzio, Ferrara e Zambrotta chiedono a Lippi di partire, un blitz, con volo privato, Dusseldorf-Torino andata e ritorno, in poche ore, per vederlo e poi rientrare. Vogliono consumare così il pomeriggio libero a disposizione: niente relax ma una corsa al capezzale di Pessotto. Tutti d’accordo, il ct e Gigi Riva, naturalmente. Permesso accordato. Ai due si aggiunge anche Del Piero, passato dall’albergo del centro a prelevare la moglie Sonia.
Gianluca Pessotto, da queste parti, non è un nome qualunque. Per nessuno del grande circo del pallone. «Saltò il mondiale di Giappone per quell’infortunio in amichevole con l’Uruguay» ricorda a tutti Antonello Valentini, portavoce della federcalcio, che ha il viso pallido e le mani nei capelli. Prima di allora una lunga e onorata milizia in azzurro, cominciata ai tempi di Sacchi, confermata con Cesarone Maldini in panchina, segnata dalla scelta, nel mondiale ’98, di spedirlo sulle tracce di Zidane, contro la Francia, a marcarlo inutilmente. «È stato qui, in ritiro con noi, qualche giorno fa a parlarci dei programmi futuri della Juventus», spiega Buffon alla sua Alena ed è lo spunto che serve per riannodare il filo con la cronaca della recente visita di Pessotto alla Nazionale, prima ad Amburgo, a poche ore da Italia-Repubblica Ceca, e poi, a qualificazione incassata, qui a Duisburg. Poche ore prima, all’aeroporto di Amburgo, il nostro casuale incontro. Con i suoi occhialini da manager, il ticket del volo in bella vista, il trolley firmato a portata, Gianluca Pessotto è il ritratto di un ragazzo sereno, divertito nell’occasione dai problemi di Secco, con una prenotazione ballerina. I saluti, lo scambio di complimenti per il suo nuovo incarico di team manager nella Juve del dopo Moggi, e poi una piccola anticipazione sulla sua missione.

«Sono qui per parlare con i ragazzi, aspettiamo che finisca la baraonda dei processi e poi ripartiremo, è la grande forza del calcio», la sua schietta e ottimistica visione del mondo, non solo bianconero. Senza una sola ombra che gli attraversasse lo sguardo.

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