“Io in galera per errore? Non ho visto un euro. I migranti della Diciotti invece…”

Luciano Di Marco a Quarta Republica racconta l'errore giudiziario di cui è stato vittima. Ma a differenza degli eritrei, nessuno gli ha ancora accordato un ristoro economico

“Io in galera per errore? Non ho visto un euro. I migranti della Diciotti invece…”
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Il caso della nave Diciotti, con il ricorso vinto da un migrante eritreo contro il trattenimento per una decina di giorni sull’imbarcazione della Guardia Costiera, continua a far discutere. E non tanto per il merito della questione, che trova nel lungo dispositivo delle Sezioni Unite della Cassazione la sua ratio giuridica, ovviamente da rispettare ma opinabile, quanto per il risvolto pratico. Diciamo terra terra. Perché in Italia ottenere un risarcimento per ingiusta detenzione, che nel caso dei migranti si sarebbe palesato nell’ingiusto trattenimento con privazione della liberà, non è cosa semplice. Ne sa qualcosa il signor Luciano Di Marco che un brutto giorno del giugno 2019 si ritrova la polizia in casa, poi incarcerato a Torino e infine accusato di un crimine che non ha mai commesso.

Ospite di Nicola Porro a Quarta Repubblica, il malcapitato ha raccontato il suo paradossale calvario. Il mandato di cattura con cui la polizia si presenta alla sua porta riguarda una rapina pluriaggravata commessa ad una gioielleria di Cerignola, in Puglia, diversi chilometri di distanza dal luogo di residenza di Di Marco. “Mi prendono da casa e mi portano al carcere di Torino - racconta - Mia moglie invece viene messa ai domiciliari con quattro minori”. Non sono momenti semplici: uno dei bambini ha pochi mesi e deve ancora essere allattato, ma la donna viene “chiusa in casa per 28 giorni senza neppure il permesso per andare a prendere il latte in polvere o un medicinale in farmacia”.

Mentre la moglie sconta i domiciliari, l’uomo condivide la cella con criminali comuni. Prima a Torino, poi a Foggia. In totale: 4 mesi e mezzo dietro le sbarre, “buttato dentro una cella come un cane”. Un’enormità. Soprattutto per chi sa di non aver commesso fatto. Di Marco, a chi lo ha indagato e processato per direttissima, prova a dirlo sin da subito: non può aver commesso lui la rapina perché quel giorno era a Torino e la moglie, accusata anche lei del furto, era addirittura ad una visita dal pediatra. “Abbiamo portato 21 testimoni a nostro favore, ma non c’è stato nulla da fare”, racconta l’uomo a Porro. “Sono state fatte quattro richieste di scontare gli arresti domiciliari da mia madre - spiega Di Mauro - ma nulla zero: tutto rigettato”.

A “inchiodarlo” secondo chi indaga ci sarebbe una somiglianza enorme con l’autore del furto. Poi a Foggia il malcapitato riesce a farsi fare une perizia dei tratti somatici e, dopo due scioperi della fame, finalmente arrivano i risultati: l’autore della rapina non può essere lui. Risultato: tutto archiviato. E tanti saluti.

Di Mauro, tornato in libertà, ovviamente fa richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione, più per “una questione morale” che per bisogno di soldi. Oltre ai mesi passati dietro le sbarre, infatti, ha dovuto subire la difficoltà di trovare lavoro una volta uscito dal carcere, l'umiliazione di vedere i vicini che gli tolgono il saluto, i figli che “ancora adesso hanno paura quando vedono una pattuglia della polizia”. Beh: a differenza dei migranti della Diciotti, nonostante l’evidente ingiustizia, dopo sei anni non è ancora riuscito a vedere un euro. “Il Tribunale di Bari ha rigettato il ricorso perché secondo loro la mia troppa somiglianza ha fatto sì che io abbia deviato le indagini - racconta - La seconda volta invece mi è stato detto che io e mia moglie nell’interrogatorio eravamo stati discordanti. Ma come posso ricordarmi nel dettaglio cosa ho fatto quattro mesi prima?”.

Vedere che i migranti della Diciotti hanno invece già ottenuto “giustizia”, lo fa ovviamente star male. “Nessuno ha preso un pezzo di carta igienica per scrivere ‘signor Di Marco, ci scusi’.

La libertà che hanno tolto a me, chi me la ripaga? Perché mi rifiutano il risarcimento? Io non ho fatto niente. Mia moglie non ha fatto niente. I miei figli non hanno fatto niente”. Eppure, in questo caso, nessuno al momento paga. Perché?

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