«Mancano infermieri? Venite da noi», diceva l’anno scorso il rettore dell'Università di Studi Europei Jean Monnet di Gorazde (Bosnia Erzegovina) Salvatore Messina. Invece sono arrivati i finanzieri del Comando provinciale di Palermo e hanno sequestrato beni per oltre 3,5 milioni di euro di imposte complessivamente evase. Secondo le indagini della Procura di Palermo l’ateneo italo-bosniaco Jean Monnet era una «università fantasma» sebbene formalmente fosse riconducibile a una fondazione di diritto croato. A partire dal 2020 aveva pubblicizzato e realizzato circa 50 corsi universitari online (prevalentemente in campo sanitario per infermieri, fisioterapisti, veterinari o medici) impartiti da professionisti e docenti prevalentemente della provincia palermitana che però erano privi di accreditamento nazionale e non erano riconosciuti dal ministero dell’Università e della Ricerca, quindi privi di valore giuridico. Messina, irreperibile da mesi, avrebbe coinvolto nella truffa anche i figli Dario e Giuliana, indagati insieme a Maria Alexandra Mladoveanu Ghitescu, membro del consiglio di amministrazione della fondazione e legale rappresentante della succursale di Lugano, e Leopoldina Frigula, presidente della fondazione.
Le lunghe indagini degli investigatori del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria guidati dal colonnello Gianluca Angelini hanno fatto luce sulle ingenti rette sottratte all’Erario, variabili da 3.500 a 26 mila euro annui, a seconda del corso e pagate da oltre 800 iscritti residenti in tutta Italia. Soldi finiti su conti correnti esteri gestiti attraverso società di comodo ubicate in Inghilterra, Svizzera e Bosnia ed Erzegovina. C’è voluta anche la collaborazione di una squadra investigativa comune con la polizia federale bosniaca per accertare ricavi incassati e non dichiarati al Fisco per circa 9 milioni di euro.
«Da qui a 5 anni saremmo in grado di formare 3.500 infermieri», annunciava l’anno scorso il rettore Messina, convinto che in pochi anni avrebbe assicurato la copertura di questi posti vacanti «con laureati di qualità elevata».
La denuncia era partita da alcuni studenti che alla Guardia di Finanza e alla Procura avevano portato prove della presunta truffa da parte dell’Ateneo, che lavorava in convenzione con l’ateneo di Gorazde per i corsi in italiano. Già qualche mese fa il ministero dell’Istruzione con una nota ufficiale aveva scritto che «da settembre 2023 l’accreditamento da parte delle competenti autorità bosniache era venuto meno» e che il Mur «non ha mai autorizzato l’università di Gorazde a operare in Italia». Da qui l’ipotesi che i titoli di laurea rilasciati agli studenti - che avevano pagato laute rette all’estero, con soldi poi rientrati in Italia attraverso società di comodo - dunque non avessero alcun valore «né ai fini accademici né ai fini professionali».
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